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Surat Shabd Yoga
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 "Vita di abbandono"

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D I S C U S S I O N E
n/a VITA DI ABBANDONO

Kirpal Singh

da un libro imminente "Vita e morte"


Il problema dell’achar o condotta personale dell’uomo come individuo è di primaria importanza per il buon esito sul sentiero spirituale. Una fede carica di amore e un completo abbandono al volere di Dio e a quello del suo Eletto, l’Uomo–Dio, costituiscono le regole basilari di vita per i ricercatori della Verità.
I saggi e le scritture ci dicono in egual modo che, pur vivendo nel mondo, non dovremmo comportarci come se gli appartenessimo, bensì mantenere un’attitudine di abnegazione, di totale distacco dal mondo stesso e da tutto ciò che ne fa parte. Dunque, dovremmo vivere come un loto che, pur avendo le radici nel fango, innalza il proprio cespo ben in alto alla luce del glorioso sole risplendente sopra l’acqua fangosa, o come un cigno reale che incede maestosamente sulla superficie dell’acqua, il suo «habitat» nativo, e tuttavia può librarsi in volo quando desidera o ne sente la necessità.
Questo tipo di isolamento disinteressato o separazione dall’ambiente e, soprattutto, dal sé inferiore (il corpo, la mente e il mondo mentale), viene raggiunto solo quando uno dissolve il proprio ego o volere individuale nel volere di Dio o volere del Guru, l’Uomo-Dio. Infatti, a quel punto egli agisce come una semplice marionetta in una scena muta, la quale danza e gioca secondo la volontà del burattinaio nascosto dietro il palco. Questo atteggiamento si chiama abbandono totale, che ispira a pronunciare silenziosamente: «Sia fatta la tua volontà, o Signore, non la mia». Tale attitudine aiuta agevolmente a rendere una persona Neh-karma. Mentre in apparenza fa una cosa o l’altra, ora non fa nulla di per sé, bensì esegue il Volere del suo Dio-Padre o divino Precettore. In realtà vede dentro di sé il piano divino così com’è e si lascia trasportare nella grande Corrente della Vita; scopre di essere uno strumento cosciente nelle mani invisibili che dirigono ogni suo movimento.
Abbandono, dunque, significa cedere a Dio o al suo Eletto, il Precettore (Dio nell’uomo), ogni cosa, inclusi il corpo, le ricchezze, lo stesso sé (la mente pensante). Non significa uno stato di annullamento totale dell’individuo, come qualcuno sarebbe proclive a pensare. Il grande Dio e il suo Eletto sono i donatori di tutte queste cose e non hanno bisogno di quei doni che già concedono con libertà e abbondanza ai loro figli per il miglior uso legittimo. Nella nostra ignoranza pensiamo che essi ci appartengano e assumiamo un’attitudine di possessività aggressiva, cerchiamo di arraffarli con le buone o le cattive, poi li custodiamo gelosamente con tutta la nostra forza. Attaccandoci a questi doni e tenendoceli stretti, dimentichiamo il Grande Benefattore e perciò si insinua impercettibilmente la grande illusione, la causa fondamentale di tutte le nostre sofferenze. Senza dubbio queste cose, essendoci state date, sono nostre ma ci sono state concesse temporaneamente come un sacro dono, da utilizzarsi secondo il volere del Donatore che, naturalmente, è completamente perfetto e immacolato, puro, senza alcuna pecca. Tuttavia, vivendo nel reame della materia, con tutta la nostra perspicacia mondana non possiamo fare a meno di attrarre a noi le impressioni grossolane. Permettiamo loro di accumularsi giorno per giorno innalzando intorno a noi un muro di granito: allora, persa la lucidità della percezione, ci accechiamo nei confronti della realtà e identifichiamo il Sé in noi con il pinda e i pindi-mana (il corpo e la mente corporea). Con questi occhiali affumicati e con i paraocchi aggiunti ad essi, limitiamo la nostra visione e non vediamo il bianco splendore della Realtà, giacché ora è coperta da una cupola di vetri multicolore. I Santi ci parlano della Realtà e ci aiutano a infrangere questi occhiali falsi, a distruggere i paraocchi che limitano la visione, e ci fanno vedere il mondo manifesto come una meravigliosa opera di Dio. Ci dicono che il mondo è un riflesso di Dio e Dio stesso vi dimora. Stando così le cose, dobbiamo preservare i doni che Dio ci ha dato (il corpo, la mente e le ricchezze) com’erano in origine, puliti e lindi. Bisogna usarli con senno al suo servizio e al servizio della sua creazione secondo il volere divino che è già modellato nel nostro essere (altrimenti come potremmo esistere?). Purtroppo, dal canto nostro, con un senso continuo di separazione dalla Realtà, abbiamo perso di vista questa meta nel vortice possente del mondo e abbiamo perso anche il nostro contatto con le linee interiori della Vita: la Luce e il Suono di Dio. I Santi ci dicono di invertire il processo di proiezione dall’esterno alla realtà interiore comprendendo i veri valori della vita. Infatti la vita è di gran lunga più preziosa della carne (il corpo). La carne lo è più degli abiti (le ricchezze del mondo) con i quali rivestiamo i nostri piccoli sé del corpo e della mente reputandoli erroneamente nostri, usandoli con noncuranza ed egoismo per i piaceri sensuali e per menarne vanto sulla terra. Una volta che ci eleviamo al di sopra della coscienza fisica, allora sappiamo chi siamo, come meglio utilizzare i doni per il servizio di Dio e del piano divino, e non in attività peccaminose, che sono frutto di appetiti carnali, del magnificare la propria potenza e mezzo per acquisire il potere temporale, benefici o guadagni personali. Questa fu la grande lezione che il saggio Ashtavakra diede a re Janak dopo avergli impartito un’esperienza pratica della Realtà. Infatti non dobbiamo rinunziare a null’altro che all’attaccamento egoistico, alla tesoreria del cuore. Questo non ci impoverisce, bensì attrae viepiù i doni carichi d’amore del Padre supremo quando vede la saggezza del figlio, prima un figliol prodigo, ora diventato più savio. Ecco quel che si chiama l’abbandono del sé meschino con tutti i suoi complementi di corpo, mente e ricchezze per il bene del sé più elevato (anima) secondo il volere divino, e il divenire Neh-karma, la meta stessa della vita.
Ora faremo un esempio per chiarire questo punto. Al tempo di Guru Arjan, il quinto nella successione di Guru Nanak, troviamo un aneddoto sul conto di un sikh esemplare, di nome Bhai Bhikari. Un discepolo una volta chiese al Guru di presentargli un gurbhakta o discepolo devoto. Il Guru lo diresse con una lettera da Bhai Bhikari e gli chiese di restare con il Bhai Sahib per alcuni giorni. Bhikari ricevette il fratello con grande calore e lo ospitò al meglio dei suoi mezzi. Il giorno in cui arrivò, Bhikari era intento a cucire un pezzo di stoffa che pareva un drappo funebre. Dopo aver trascorso felicemente alcuni giorni in sua compagnia, il discepolo propose di ritornare, ma Bhikari gli chiese di restare altro tempo e di partecipare alle nozze del figlio, che sarebbero avvenute a breve. La sua amorevole insistenza indusse il discepolo a rimanere. Venne il giorno del matrimonio. Ci furono festeggiamenti nella casa, ma Bhikari rimase sereno come sempre. Il discepolo, come tutti gli altri, partecipò alla processione nuziale, intervenne al matrimonio festoso e accompagnò la sposa alla casa di Bhikari.
Il giorno seguente d’improvviso, come sfortuna volle, l’unico figlio di Bhikari, il giovane neo-sposo, si ammalò gravemente e morì. Bhikari tirò fuori con calma la stoffa che aveva preparato alcuni giorni prima e vi avvolse la salma del figlio; indi lo portò alla cremazione ed eseguì i riti finali con la sua solita equanimità. La salda attitudine di compostezza da parte di Bhikari durante tutto questo susseguirsi di eventi ammutolì di meraviglia il discepolo, perché in Bhikari non v’era alcuna traccia di gioia o dispiacere, ma la perfetta rassegnazione al Volere divino, che conosceva sin dall’inizio. Aveva agito di conseguenza senza esibire per nulla commozione o sentimenti personali.
Guru Nanak pregava: «O Signore! Non fare nulla di ciò che dico, al contrario amministra il tuo volere». Parimenti, Sant Kabir si definiva un cane di nome Moti e parlava di tutte le sue azioni come quelle del suo Signore che, tenendolo al guinzaglio, lo trascinava ovunque desiderasse. Cristo pregò sempre: «Sia fatta la tua Volontà così in cielo come in terra». «Sia fatta la tua Volontà» è stata la parte conclusiva della preghiera giornaliera dei monaci indù, dei dervisci musulmani e dei sacerdoti cristiani, seguita dalle parole Tatha Astu o Amen, che significano «così sia».
Dovrebbe essere chiaro, secondo quanto detto, che i discepoli veramente sinceri dei Maestri e i Maestri stessi tengono sempre presente di non avere alcuna esistenza individuale distinta dall’Uomo-Dio o da Dio. Tali persone leggono il passato, il presente e il futuro come un libro aperto e agiscono in conformità al piano divino. Si giunge all’inevitabile conclusione che Dio aiuta quelle anime che eseguono il suo Volere. Ma vale soltanto per uomini di ferma fede: gli individui ordinari che vivono sempre sul piano dei sensi, non debbono reputarlo un mezzo di evasione giacché essi sono governati dalla legge che Dio aiuta coloro che si aiutano. La qualità dell’abbandono, con qualsiasi grado di fede, porta davvero frutto e con velocità, secondo il livello in cui è praticato. Attraverso l’esperienza graduale uno ne apprende tutto il valore a mano a mano che progredisce sulla via, finché raggiunge uno stadio in cui perde completamente l’ego nel volere divino e così diviene Neh-karma, il coronamento e la gloria di ogni esistenza umana. Una fede amorevole nella bontà innata di Dio e l’arrendevolezza totale al volere divino conducono alla strada maestra della spiritualità, senza alcuno sforzo eccessivo da parte dell’aspirante. Queste due cose costituiscono l’Apriti Sesamo segreto e la chiave magica che spalancano i portali del regno di Dio all’interno del corpo umano. «Non sapete voi che siete il tempio di Dio e Dio risiede veramente in esso?» dicono tutte le scritture.

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