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 "Lo straniero della Galilea" - introduzione
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Inserito il - 28 Settembre 2023 :  14:09:19  Visualizza profilo  Modifica messaggio  Rispondi citando  Visualizza l'indirizzo IP dell'utente
Introduzione
Russell Perkins

dal libro “Lo straniero della Galilea”

La maggior parte di questo libro è un commento al cosiddetto Discorso della Montagna (Matteo 5-7) dal punto di vista della tradizione spirituale esoterica o universale, che considera Gesù di Nazareth parte di quella che è stata definita una «successione apostolica cosmica» di grandi Maestri spirituali con uno scopo comune, iniziata con la comparsa della vita umana e che continua fino ad oggi.

La tradizione esoterica

I termini «esoterico» ed «essoterico» sono fondamentali per la comprensione di questa prospettiva, quindi inizierò con le definizioni. Entrambi i termini derivano dal greco e significano rispettivamente «interiore» ed «esteriore». Ma sono arrivati a rappresentare due visioni opposte della natura e del significato di ciò che normalmente chiamiamo «religione». Il termine «essoterico» (sanscrito dharma) si riferisce alle istituzioni, ai rituali, alle apparenze esteriori, alle dottrine e alle credenze, anche se non necessariamente al loro significato originale; il termine «esoterico» (sanscrito moksha) si riferisce a ciò che Aldous Huxley chiamava «la filosofia perenne» (1) (n.d.t. le note contrassegnate tra parentesi sono riportate a fine testo): la trascendenza della condizione umana (nella terminologia indiana, «la liberazione dal ciclo delle nascite e delle morti») e i metodi che portano a questa. Questa trascendenza è un processo di divenire, piuttosto che di credere o di eseguire, e può esistere all’interno di qualsiasi istituzione, insieme di rituali o sistema di credenze, o all’interno di nessuno di essi. Dal punto di vista esoterico, la maggior parte delle preoccupazioni essoteriche sono irrilevanti.
Il mio Guru, Sant Kirpal Singh Ji, ha spiegato la conclusione del «processo del divenire» esoterico in questo modo:

E cosa viene per ultimo? Si diventa tutt’uno con Dio. Si perde ogni coscienza individuale, come una goccia d’acqua che, quando si unisce al fiume o all’oceano, diventa una cosa sola con l’oceano... È la consumazione finale dell’anima con Dio: si diventa una cosa sola con Dio; si vede che Lui è in voi e voi in Lui: «Io e mio Padre siamo uno». Questo è il sentimento definitivo. Sentimento? No, vedere. Non è nemmeno vedere: il vedere rimane nel terzo stadio. Il massimo è diventare uno con Lui. È divenire. (Marriage Outer and Inner, Sant Bani, maggio 1987, vol. XI, n. 11, p. 13)

Gli studiosi della tradizione esoterica hanno indicato nei misteri greci ed egiziani, nei sistemi yogici e tantrici dell’India, nelle scuole del buddismo mahayana, nella cabala ebraica, nelle scuole gnostiche cristiane e nei loro successori, nei sufi islamici e nella tradizione dei Santi dell’India (Sant Mat), che incorpora caratteristiche di tutti i precedenti, le principali scuole esoteriche. (2) Altre, come gli ordini monastici cristiani post-costantiniani, si sono adattate più o meno felicemente alle esigenze istituzionali ortodosse. In relazione all’ebraismo, ad esempio, si considerino le osservazioni del dottor David Sheinkin:

All’interno del mondo occidentale sono fiorite diverse tradizioni spirituali... Inoltre, all’interno di ogni tradizione spirituale si possono individuare un percorso essoterico e uno esoterico più o meno separato. Per esempio, la Chiesa cattolica, la Chiesa greco-ortodossa e la religione ebraica hanno percorsi ben definiti e consolidati, oltre a percorsi segreti storicamente noti solo a pochissimi. (Path of the Kabbalah, p. 8)

Se queste scuole o questi percorsi hanno avuto successo, è ovvio che alcune persone si siano diplomate; in altre parole, devono esistere testimonianze storiche di persone che sono «diventate uno con Dio», secondo le parole di Kirpal Singh appena citate. E così ci sono. Ouspensky la mette così:

Secondo la tradizione i seguenti personaggi storici appartenevano a scuole esoteriche: Mosè, Gautama il Buddha, Giovanni Battista, Gesù Cristo, Pitagora, Socrate e Platone; anche i più mitici – Orfeo, Ermete Trismegisto, Krishna, Rama e alcuni altri profeti e maestri dell’umanità. Alle scuole esoteriche appartenevano anche i costruttori delle Piramidi e della Sfinge, i sacerdoti dei Misteri in Egitto e in Grecia, molti artisti in Egitto e in altri paesi antichi, gli alchimisti, gli architetti che costruirono le cattedrali medievali gotiche, i fondatori di alcune scuole e ordini di sufi e dervisci, nonché alcuni personaggi che sono apparsi nel passato per brevi momenti e che rimangono enigmi storici. (A New Model of the Universe, p. 30)

Esistono molti altri elenchi di Maestri di conoscenza esoterica storicamente noti, alcuni dei quali correggono la versione un po’ eurocentrica di Ouspensky. Shiv Dayal Singh di Agra, noto in India come «Swami Ji Maharaj», che si realizzò a metà del XIX secolo, fornisce il seguente elenco di Maestri indiani e iraniani:

Di seguito sono riportati i nomi di alcuni perfetti e autentici Santi, Sadh e Fachiri che si sono manifestati negli ultimi sette secoli: Kabir Sahib, Tulsi Sahib, Jagjivan Sahib, Gharib Das Ji, Paltu Sahib, Guru Nanak, Dadu Ji, Tulsi Das Ji, Nabha Ji, Swami Hardas Ji, Surdas Ji e Raidas Ji, e tra i maomettani: Shamas Tabriz, Maulana Rumi, Hafiz, Sarmad e Mujaddid Alif Sani. I loro scritti ne rivelano le conquiste spirituali. (Sar Bachan I, 39)

Sant Kirpal Singh (1894-1974) ha incluso nei suoi scritti una serie di elenchi, uno dei quali, pur essendo breve, è particolarmente interessante, sia perché collega l’elenco di Ouspensky con quello di Swami Ji, sia perché si avvicina molto di più al nostro tempo rispetto a quello di Ouspensky:

Tutti i Maestri, come Gesù, Mahavira, Buddha, Kabir e Nanak, eccetera, del passato e Ramakrishna, Hazur Baba Sawan Singh, Sadhu Vaswani, eccetera dei giorni recenti, irradiarono questa lucentezza divina (ossia umiltà e semplicità) dalle loro personalità. (La Via dei Santi, p. 281)

Nessuno di questi elenchi vuole essere esaustivo, e in altri punti Kirpal Singh e altri scrittori hanno citato numerosi altri Maestri la cui vita e i cui insegnamenti incarnano la tradizione spirituale universale, tra cui alcune donne, come chiarisce il mistico indiano contemporaneo Sant Ajaib Singh:

Kabir dice: «La bhakti è come il pallone che si utilizza nel gioco del calcio e chi è più abile, riesce a segnare». Sapete che nel gioco del calcio l’arbitro non dà la palla ad alcuna persona in particolare; la mette al centro e un giocatore abile e bravo la porta in goal. Nello stesso modo, in questo campo della devozione nessuno gode di concessioni o preferenze particolari. Nessuna religione o sesso ha il diritto esclusivo di questo gioco della realizzazione dell’Onnipotente. Chi afferma che le donne non possano diventare Maestri, è vittima di una grande illusione perché non sa fino a che punto esiste la differenza dei sessi. Sehjo Bai, Mira Bai e Rabia Basri erano Sante perfette che praticarono e predicarono il Naam. Nel mondo interiore non esistono differenze. Dio ha predisposto nell’intimo della donna la possibilità di realizzarsi, così come l’ha fatto per l’uomo. (Ruscelli nel deserto, pp. 256-257)

La questione dell’inclusione delle donne nel più alto rango dei Maestri spirituali è uno dei segni ricorrenti della tradizione esoterica e uno dei modi per distinguerla da quella essoterica, che in genere suppone che la realizzazione religiosa sia una prerogativa maschile; ma, come mostra il Vangelo di Tommaso, alcuni dei discepoli più avanzati di Gesù e quelli che lo capirono meglio, erano donne, pur essendo stato in gran parte cancellato nel Nuovo Testamento.


"Chi mi ha fatto diventare uno spartitore?"

Da tutto ciò risulta evidente che uno dei tratti distintivi della tradizione esoterica è l’inclusività o l’universalità: le scuole, i sentieri e i Maestri sopra menzionati provengono da tutti i sistemi religiosi, organizzati o meno, e questo è intenzionale. Sant Kirpal Singh Ji, rivolgendosi alla Conferenza delle Religioni del Terzo Mondo (di cui era presidente) a Delhi nel 1965, lo dice chiaramente:

Senza occupare altro tempo, mi piacerebbe sottolineare una cosa: tutte le religioni sono profondamente positive, veramente degne del nostro amore e rispetto. Lo scopo di questa conferenza non è quello di fondare una nuova religione poiché ne abbiamo già a sufficienza né di giudicare quelle esistenti. Ancora una volta dovremmo abbandonare l’idea di elaborare «una religione mondiale» poiché tutte le religioni, come tanti stati, a dispetto delle variegate forme e colori, non sono che fiori nel giardino di Dio e profumano di dolcezza. Il bisogno più urgente del momento, quindi, è quello di studiare premurosamente le scritture religiose e di rivendicare la nostra eredità perduta. Ognuno ha in sé, dice un Santo, una perla d’inestimabile valore, ma poiché non sa come dissotterrarla, sta andando in giro con una ciotola da mendicante. (La Via dei Santi, pp. 166)

I rappresentanti degli organismi religiosi essoterici hanno spesso deriso l’idea che i grandi mistici delle loro tradizioni sarebbero stati d’accordo con questa comprensione; ed è vero che fino a tempi abbastanza recenti, quando la maggior parte delle religioni era più o meno isolata l’una dall’altra, questo non è un tema importante nella scrittura spirituale. Tuttavia, ci sono sempre state indicazioni in questa direzione. La Bibbia, ad esempio, ci mostra Abramo e Mosè seduti ai piedi rispettivamente di Melchisedec e di Ietro, entrambi non ebrei (Genesi 14, 18-20; Esodo 18, 127); chiama Ciro, l’imperatore persiano e membro della religione zoroastriana, un messia (Isaia 45, 1); fa di un non ebreo un messia; fa di un non ebreo, Giobbe, il protagonista di uno dei suoi libri più spirituali; si riferisce al Tempio di Gerusalemme come a «una casa di preghiera per tutti i popoli» (Isaia 56, 7) – una profezia citata da Gesù (Marco 11, 17) e già parzialmente realizzata ai nostri giorni visto che ebrei, cristiani e musulmani considerano il sito del Tempio un luogo di pellegrinaggio molto sacro; mostra Dio che capovolge la vita del profeta Giona per salvare i Niniviti (non ebrei) (Giona, 1, 4); e, non solo, comanda: «Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Levitico 19, 17), che tutti conoscono, ma estende lo stesso comando, usando le stesse parole, nella stessa pagina, allo straniero, all’alieno, all’estraneo, a chi non è come noi:

Quando un forestiero dimorerà presso di voi nella vostra terra, non lo opprimerete. Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio. (Levitico 19, 33-34)

Certamente la Bibbia contiene anche punti di vista molto diversi da questo; fa parte del problema di affidarsi troppo pesantemente a qualsiasi scrittura, un problema che esaminiamo in dettaglio più avanti. Ma non bisogna mai dimenticare che l’inclusività sopra citata riflette la tradizione esoterica, ed è anch’essa presente; come dice magnificamente Rabbi Gionata (morto nel 279 d.C.):

Gli angeli ministri volevano cantare un inno alla distruzione degli egiziani, ma Dio disse: «I miei figli giacciono annegati nel mare e voi volete cantare?» (citato in Victor Gollancz, Man and God, p. 34).

In tempi più recenti musulmani come Kabir, sikh come Nanak e i suoi successori e indù come Ramakrishna e Gandhi hanno riposto grande attenzione sulla legittimità e sul valore spirituale di tutte le religioni. Questo punto di vista ha trovato spazio anche nel cristianesimo, dove era presente all’inizio: oltre ai ben noti detti inclusivi di Cristo (ad esempio, Matteo 5, 44-48) inseriti nel Nuovo Testamento, c’è questo accorato appello, profezia del Vangelo di Tommaso:

Un uomo gli disse, «Dì ai miei fratelli di dividere con me i loro averi».
Lui disse all’uomo, «Signore, e chi mi ha nominato spartitore?»
Si girò verso i discepoli e disse, «Non sono uno spartitore, vero?» (Tommaso 72).

Questo è lo spirito con cui la grande mistica cattolica bavarese con le stigmate del XX secolo Therese Neumann rispose alla visita, nel 1935, del mistico indù Paramhansa Yogananda, che ne racconta la storia:

Il dottor Wurz ci ricevette cordialmente in casa sua: «Sì, Therese è qui». Egli le mandò a dire dei visitatori. Subito apparve un messaggero recando la sua risposta.
«Benché il vescovo mi abbia chiesto di non incontrare nessuno senza il suo permesso, riceverò l’uomo di Dio che viene dall’India».
Profondamente commosso da queste parole, seguii il dottor Wurz nel soggiorno al piano superiore. Therese entrò immediatamente, irradiando un’aura di pace e di gioia. Indossava un abito nero lungo e un fazzoletto candido in testa. Benché a quel tempo avesse trentasette anni, sembrava molto più giovane e aveva davvero la freschezza e il fascino di una bambina. Sana, florida, dalle guance rosee, allegra: questa è, dunque, la santa che non mangia.
Therese mi accolse con una stretta di mano estremamente dolce. Eravamo entrambi radiosi in silenziosa comunione, ciascuno consapevole dell’amore appassionato che l’altro provava per Dio. (Autobiografia di uno yogi, p. 241)

Continua a descrivere le sue stimmate e la visione della crocifissione di Cristo, che riuscì a condividere.
Ancora più recentemente, la Vergine Maria, apparendo a un gruppo di bambini croati (cattolici) a Medjugorje, un villaggio vicino a Mostar in quella che presto sarebbe diventata la Bosnia dilaniata dalla guerra, ha avuto un messaggio oltremodo interessante. Una delle veggenti, Mirjana, viene intervistata da Padre Vlasic, un sacerdote locale, nel 1985:

Mirjana: Ella (la Beata Vergine) ha anche sottolineato le mancanze delle persone religiose, specialmente nei piccoli villaggi, ad esempio qui a Medjugorje, dove c’è una separazione tra serbi (cioè serbo-ortodossi) e musulmani. Questa separazione non è positiva. La Madonna sottolinea sempre che c’è un solo Dio e che la gente ha imposto una separazione innaturale. Non si può credere veramente, essere un vero cristiano se non si rispettano anche le altre religioni. Non si crede veramente in Dio se si deridono le altre religioni.
Padre Vlasic: Qual è allora il ruolo di Gesù Cristo, se la religione musulmana è una buona religione?
Mirjana: Non ne abbiamo parlato. Si è limitata a spiegare e a deplorare la mancanza di unità religiosa, «soprattutto nei villaggi». Ha detto che occorre rispettare la religione di tutti e, naturalmente, anche la propria. (Citato in Wayne Weible, Medjugorje: The Message, p. 59)

Si confronti con la citazione di Kirpal Singh dell’imperatore buddista indiano Ashoka (III secolo a.C.):

Il monaco reale, Ashoka, in uno dei suoi editti su pietra dice: «Colui che riverisce la propria setta, ma scredita le sette altrui, fa un danno enorme alla propria perché gli mancano gli elementi essenziali di una religione». (La Via dei Santi, p. 213)

Il fatto è che in questo inferno del XX secolo che chiamiamo mondo, è un messaggio che dobbiamo ascoltare. Finché saremo convinti della nostra superiorità spirituale, etnica, sociale o di genere, saremo imprigionati nella presunzione. Ma i grandi mistici di tutte le tradizioni, tanto del passato quanto del presente, ci mostrano una via diversa. Kirpal Singh ha detto:

Cari fratelli e sorelle, i popoli chiedono pace. Come possiamo averla? Deve partire dai nostri cuori. Dovremmo diffonderla come pregò Guru Nanak: «Sia pace in tutto il mondo, sotto la Tua volontà, o Dio». E per questo, naturalmente, deve esserci una rivoluzione spirituale.
Nel mondo la rivoluzione è già iniziata, ma questa rivoluzione dovrebbe essere diversa. Non dovrebbe riguardare il corpo, ma contro le propensioni negative della mente che ci allontanano da Dio. Sarà possibile se daremo la giusta comprensione alla gente in generale, che si tradurrà in pensieri giusti. Prima viene la comprensione; poi vengono i pensieri giusti, che si traducono in discorsi giusti, e i discorsi giusti si traducono in azioni giuste. Tutto parte dalla giusta comprensione…
Questa è la prima giusta comprensione: noi viviamo in Lui, abbiamo il nostro essere in Lui, Lui è in noi, fuori di noi, sopra di noi, sotto di noi. Come pesci, abbiamo la nostra esistenza in Lui. Ecco la giusta comprensione. E ancora: Dio ha creato l’uomo con uguali privilegi, tutti sono nati allo stesso modo, senza alti né bassi; tutti hanno le stesse concessioni esteriori – occhi, orecchie, eccetera – e tutti hanno la stessa concessione interiore: siamo tenuti nel corpo da un Potere superiore, lo stesso per tutti. Ecco la giusta comprensione: Dio risiede in ogni cuore e tutto è santo laddove s’inginocchia la devozione. Tutti nascono con gli stessi privilegi da parte di Dio: senza alti né bassi, nessun Oriente, nessun Occidente. Ciò porterà a pensieri giusti. (The Coming Spiritual Revolution, Sat Sandesh, marzo 1973)

E questo:

È il falso ego a far sorgere il senso di discordia e separazione. Quando l’illusione dell’ego viene spezzata, uno sente: «Non sono diviso dagli altri, bensì gli altri sono parti dell’Unico Dio. Il Maestro e tutti noi siamo impegnati nello stesso servizio di Dio». Ciascuno di noi è unico a modo suo. Esiste uno scopo divino dietro la vita di ognuno che viene nel mondo; nessuno è stato creato per nulla. Abbiamo qualcosa da imparare da tutti. Questo è il mistero dell’umiltà. (La Via dei Santi, p. 284)


Il ruolo dei Maestri

Il lavoro che i Maestri della conoscenza esoterica svolgono è stato variamente descritto, ma si riduce a questo: mostrare agli esseri umani che lo desiderano, la loro vera natura e posizione nell’universo. Una famosa storia della tradizione indiana è raccontata da Kirpal Singh:

Un’antica parabola indiana mette in evidenza questo aspetto del rapporto Maestro-discepolo. Racconta che una volta un pastore catturò un cucciolo di leone e lo allevò con il resto del gregge. Il cucciolo, giudicandosi in base agli animali che vedeva intorno a sé, viveva e si muoveva come le pecore e gli agnelli, accontentandosi dell’erba che piluccavano e dei deboli belati che emettevano. E così il tempo passò finché, un giorno, un altro leone vide il cucciolo in crescita che pascolava con il resto del gregge. Intuì cosa fosse successo e, impietosito dalla situazione del cucciolo, si avvicinò a lui, lo attirò sulla riva di un ruscello tranquillo, gli fece vedere il suo riflesso e quello del leone e, voltandosi, emise un potente ruggito. Il cucciolo, comprendendo ora la sua vera natura, fece altrettanto e i suoi compagni di un tempo fuggirono davanti a lui. Finalmente fu libero di godersi il posto che gli spettava e da quel momento si aggirò come un re della foresta.
Il Maestro è davvero un leone. Viene a risvegliare l’anima dal sonno e, presentandole uno specchio, le fa vedere la sua gloria innata di cui, senza il proprio tocco, continuerebbe a non essere consapevole. Tuttavia, se non fosse essa stessa l’essenza della vita, nulla potrebbe elevarla alla coscienza spirituale. Il Guru non è altro che una candela accesa che infiamma quelle spente. Il combustibile c’è, lo stoppino c’è, dà solo il dono della fiamma senza alcuna perdita per sé stesso. Il simile tocca il simile, la scintilla passa in mezzo e ciò che era buio, viene illuminato e ciò che era morto, prende vita. Come per la candela accesa, il cui privilegio non sta nell’essere una candela individuale, ma nell’essere la sede della fiamma non individuale che non è né di questa né di quella candela, ma dell’essenza stessa di tutto il fuoco, così per il vero Maestro. È un Maestro non in virtù del suo essere un maestro individuale come tutti gli altri, ma è un Maestro che porta in sé la Luce universale di Dio. Ancora una volta, come solo una candela ancora accesa può accenderne altre – non una già bruciata – così solo un Maestro vivente può dare il tocco vivificante necessario, non uno che abbia già lasciato questo mondo. Quelli che se ne sono andati, erano davvero grandi e degni di ogni rispetto, ma erano preminentemente per il loro tempo, e il compito che hanno svolto per coloro che li circondavano, deve essere svolto da chi vive e si muove in mezzo a noi. La loro memoria è un tesoro sacro, una fonte perenne di ispirazione, ma l’unica cosa che il loro ricordo insegna è di cercare per noi stessi, nel mondo dei vivi, quello che loro stessi erano. Solo il bacio di un Principe (Maestro) vivente può riportare in vita la Principessa (Anima) assopita e solo il tocco di una Bellezza che respira può riportare la Bestia alla sua originaria gloria incontaminata. (La Corona della Vita)

Un racconto di Rabbi Nachman di Bratslav spiega anche, in modo un po’ diverso, perché il Maestro (chiamato tzaddik nella tradizione esoterica ebraica) e il discepolo devono trovarsi contemporaneamente sullo stesso piano e come opera il Maestro:

Un principe si ammala mentalmente e sente di essere diventato un gallo. Insiste per sedersi «nudo sotto la tavola per mangiare pezzi di pane e ossa». Il re e i suoi medici si disperano per poterlo curare, ma arriva un uomo saggio che si offre di guarirlo. Quest’ultimo si spoglia e si siede sotto il tavolo con il principe. Quando il principe gli chiede cosa stia facendo, il saggio risponde che anche lui è un gallo. «E tutti e due si sedettero insieme finché non si abituarono l’uno all’altro». Alla fine il saggio chiede una camicia dicendo al principe: «Pensi che un gallo non possa indossare una camicia? Anche se è un gallo, può farlo». Ed entrambi indossano la camicia. Dopo un po’ chiede i pantaloni e presto entrambi indossano i pantaloni. Lo stesso procedimento viene utilizzato per far sì che il principe mangi regolarmente e, infine, si sieda a tavola. Nachman conclude la storia dicendo che ogni uomo che desidera avvicinarsi all’adorazione di Dio, è un «gallo, avvolto nella volgarità». Con la tecnica sopra descritta, tuttavia, lo tzaddik può gradualmente innalzare l’uomo e portarlo al giusto modo di servire Dio. (Herbert Weiner, 9 1/2 Mystics: The Kabbala Today, p. 219)

Ma cosa ha a che fare tutto questo con Gesù? La tesi di questo libro è che storicamente Gesù ha fatto proprio questo lavoro e che tutto ciò che ha detto, si inserisce in questo contesto; ed è il modo in cui viene compreso dalla tradizione esoterica, compresi gli eredi nella sua stessa religione, la Cabala ebraica:

È importante ricordare che Gesù non ha mai scritto nulla in termini di testo; i suoi insegnamenti erano tutti orali. Come nel caso del giudaismo, c’era indubbiamente una parte orale dei suoi insegnamenti destinata a tutti e una parte più segreta, una sorta di cabala cristiana, riservata a pochi eletti. Gesù era un cabalista? I suoi insegnamenti suggeriscono che fosse un adepto della cabala e che gran parte del suo messaggio fosse radicato nella cabala. (David Sheinkin, M.D., Path of The Kabbalah, p.15)

Certamente Marco 4, 11-12 suggerisce che il dottor Sheinkin ha ragione.
Ma questo modo di considerare Gesù non ne sminuisce la gloria? E la sua unicità, espressa ad esempio in Giovanni 14, 6 e Filippesi 2, 6-11? Non è forse questa l’essenza del cristianesimo?
La risposta è semplice: no, non lo è. Il «cristianesimo» di per sé, come qualsiasi altra religione, ha un significato solo a livello essoterico e il dogma teologico dell’unicità di Cristo – è importante notarlo, non la gloria o la statura cosmica di Cristo – esiste solo a quel livello. A livello esoterico, non si tratta di religioni, ma di Maestri e discepoli, e di ciò che passa dall’uno all’altro. Se comprendiamo Gesù e la sua opera in questo modo, allora Giovanni 14, 6 e Filippesi 2, 6-11 diventano, nel contesto, espressioni del fatto che ogni vero Maestro è l’unica via per i discepoli di cui si è assunto la responsabilità, e del fatto che il discepolo, una volta progredito a sufficienza nell’intimo, vede effettivamente il Maestro come Dio. (3)
Le argomentazioni classiche a favore dell’unicità di Gesù sono sorprendentemente scioviniste; si consideri quanto segue di C. S. Lewis:

Sto cercando di evitare che qualcuno dica la cosa veramente sciocca che spesso la gente dice di Lui: «Sono pronto ad accettare Gesù come grande maestro morale, ma non accetto la sua presuntuosità di essere Dio». È l’unica cosa che non dobbiamo dire. Un uomo che fosse solo un uomo e dicesse il tipo di cose che ha detto Gesù, non sarebbe un grande maestro morale. Sarebbe un pazzo al pari di chi dice di essere un uovo in camicia, oppure sarebbe il diavolo dell’inferno. Dovete fare la vostra scelta. O quest’uomo era, ed è, il Figlio di Dio, oppure un pazzo o qualcosa di peggio. Potete tacciarlo di essere un pazzo, potete sputargli addosso e ucciderlo come un demonio; oppure potete cadere ai suoi piedi e chiamarlo Signore e Dio. Ma non venitemi a dire che è un grande maestro umano. Non ci ha lasciato questa possibilità. Non ne aveva l’intenzione. (Mere Christianity, pp. 55-56)

È un’affermazione veemente e convincente, di cui condivido ogni parola. Ma la cosa sorprendente dal punto di vista esoterico non è ciò che viene detto, ma ciò che non viene detto. Anche una persona saggia e spiritualmente consapevole come C. S. Lewis, in qualche modo, non sa che in ogni religione e tradizione spirituale ci sono altre persone su cui si potrebbe fare la stessa identica osservazione. Che dire di loro? Alcune di queste persone potrebbero anche essere vive nel mondo di oggi; alcuni di noi potrebbero anche essersi seduti ai loro piedi e aver vissuto esperienze paragonabili a quelle dei discepoli dei vangeli. C’è spazio nel cristianesimo essoterico per questo? Gli altri grandi Maestri spirituali del mondo devono essere classificati come pazzi o diavoli per preservare l’unicità di uno di loro? O non è forse giunto il momento per i cristiani essoterici di riconoscere un universo più ampio e un Dio più benevolo – che ama tutti i suoi figli, anche quelli che non rispondono al messaggio biblico così com’è stato loro presentato – di quanto non abbiano fatto finora?
Non significa negare che nel mondo ci siano falsi insegnanti e profeti, che alcuni di loro siano dei pazzi e altri forse dei diavoli; Gesù certamente li mette in guardia, e così fanno tutti i Maestri. Ma supporre che il ragionamento che C. S. Lewis applica a Gesù, non debba essere applicato ad altri che fanno le stesse affermazioni, significa sostituire il dogma teologico alla realtà umana. Non è degno di noi, come figli di Dio, rifiutare di punto in bianco i messaggeri che nostro Padre ci manda per mostrarci qualcosa di sé; o supporre che questi messaggeri abbiano smesso di venire perché è stata fondata una religione o l’altra.


Il ruolo dei discepoli

All’inizio, il compito dell’aspirante discepolo è quello di cercare. Le parole di Gesù nel Discorso della montagna sono chiarissime:

Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. (Matteo 7, 7-8)

In altre parole, chiunque desideri la Verità, può averla. Thomas Merton, mistico cattolico del XX secolo, commenta:

In definitiva, nessuno può cercare Dio se non ha già iniziato a trovarlo. Nessuno può trovare Dio senza essere stato prima trovato da Lui. (The Silent Life, p. vii)

Kirpal Singh spiega ulteriormente, in risposta a una domanda se l’interrogante fosse abbastanza pronto per essere iniziato:

Ascolta, ascolta. L’uomo nel cui cuore è penetrata questa domanda sul mistero della vita, è pronto. Questa domanda sorge per grazia di Dio. Il giorno in cui penetra nel cuore di un uomo il dilemma del mistero della vita, è il più grande. Non potrà soffocarlo se prima non lo risolve. Il fatto che questa domanda sia sorta, mostra che Dio vuole darvi quello di cui siete affamati. «C’è cibo per l’affamato e acqua per l’assetato». Ora, c’è la questione della vita etica. (Kirpal Singh, 23 gennaio 1964, citato in Russell Perkins, L’impatto con un Santo, p. 50)

Spesso le istituzioni religiose esoteriche dominanti hanno sostenuto che la tradizione esoterica è «elitaria», poiché solo poche persone sono adatte all’iniziazione e alla crescita spirituale. Ma la risposta di Kirpal Singh riportata sopra dovrebbe dimostrare la falsità di questa argomentazione. In realtà, la tradizione esoterica è universalista: la sua comprensione della natura degli esseri umani (che sono letteralmente figli di Dio, con il Nome o la Parola di Dio come essenza) e la sua visione della condizione attuale dell’anima umana (bloccata nel ciclo delle nascite e delle morti) richiedono entrambe che tutti debbano essere salvati (quale genitore vedrebbe i propri figli perduti per sempre, se potesse fare qualcosa?) e spiega l’universo in modo tale da renderlo possibile: il ciclo delle nascite e delle morti, pur non essendo considerato positivo, ha il vantaggio di lasciarci tutto il tempo necessario per arrivare alla conclusione di voler trovare Dio. Il dottor W. Y. Evans-Wentz, parlando dalla tradizione buddista Mahayana, lo spiega in questo modo:

L’incongruenza etica di un paradiso eterno per gli eletti tra gli esseri umani e di un inferno eterno per i dannati, non trova posto nella dottrina del Buddha. Finché c’è un solo essere, anche il più umile, immerso nella sofferenza e nel dolore, o nell’ignoranza, rimane una nota di disarmonia che non può non riguardare tutti gli esseri, poiché tutti gli esseri sono l’Uno; e finché tutti non saranno liberati, non ci potrà essere vera beatitudine per nessuno. (Tibetan Yoga and Secret Doctrines, p. 11)

Anche la famosa definizione gnostica delle anime come «pneumatiche, sensitive o materiali» (cioè spirituali, mentali o fisiche), intendendo per pneumatiche le persone che rispondono istantaneamente al messaggio esoterico, per sensitive le persone che sono in grado di rispondere dopo aver riflettuto e per materiali le persone che non risponderanno mai, perde il suo carattere «elitario» quando ci rendiamo conto che si tratta di una descrizione delle anime in un dato momento, non di un’affermazione conclusiva. Tutte le scuole esoteriche insegnano la reincarnazione – il ciclo di nascita e morte – o qualcosa di simile (ad esempio, la «preesistenza dell’anima»). Questa visione cosmica consente un certo margine di manovra nei rapporti dell’anima con Dio e una certa opportunità per l’anima di imparare, assimilare e trarre profitto dalle proprie esperienze in ogni vita. Questa visione rende chiaro il significato delle parabole di Gesù in Luca 15, mentre la comprensione essoterica di quelle parabole, se abbinata al dogma di un inferno eterno basato sulle credenze di una sola vita, le mette in ridicolo. Così, all’interno della tradizione esoterica, i «materiali» possono facilmente cambiare il loro status man mano che l’esperienza lo rende possibile, e le «sensitive» che non vogliono rispondere all’inizio, possono imparare diversamente. Come chiariscono Luca 15 e parecchi altri scritti dei Maestri, Dio ci sta cercando e ci troverà, prima o poi, quando vorremo essere trovati.
Considerate la seguente domanda posta a Kirpal Singh e la sua risposta:

Maestro, alla fine tutti troveranno un Maestro perfetto e torneranno a Dio?
Sicuramente... Egli si prende cura di tutti... (It is He Who sends, It is Who Gives, Sant Bani, settembre 1983, p. 32)

Ouspensky riassume in questo modo l’intero concetto di ricerca e il suo rapporto con lo spirituale, usando la parola «superuomo» allo stesso modo di Nietzsche e Shaw:

L’uomo trova il superuomo dentro di sé quando comincia a cercarlo fuori di sé, e può trovare il superuomo fuori di sé quando ha cominciato a cercarlo dentro di sé. (A New Model of the Universe, p. 129)

E Swami Ji Maharaj (Shiv Dayal Singh) di Agra aggiunge:

Dio è dentro ognuno di noi, ma nessuno lo conosce. Gli individui commettono peccati mentre Lui guarda, ma non li ostacola e li fa passare attraverso la chaurasi (il ciclo delle nascite e morti). A cosa ci serve dunque questo Dio? Al contrario, quando incontriamo un Satguru (Maestro di Verità) ed egli ci spiega in quale forma Dio è presente nei nostri cuori, allora diventiamo consapevoli, evitiamo le cattive azioni e sfuggiamo alla chaurasi. È quindi necessario cercare un Satguru, perché è il Dio manifesto e la ricerca del Dio Non Manifesto non è possibile senza l’aiuto di un Satguru. Chi non lo fa, non troverà Dio né sfuggirà alla chaurasi, ma sprecherà questa preziosa vita umana. Chi cerca il Satguru, lo troverà sicuramente, perché è un’incarnazione eternamente presente su questa terra. (Sar Bachan II, 208)


Il ruolo delle scritture

Una delle differenze più nette tra la comprensione esoterica e quella essoterica delle idee religiose risiede nell’atteggiamento nei confronti delle scritture. La religione essoterica ascrive alle scritture grande autorità, a volte un’autorità conclusiva, anche se questa viene spesso modificata dalle fazioni «liberali»; la tradizione spirituale universale, pur riconoscendo che le scritture contengono verità esoteriche (a volte molte), non presume mai che un libro possa avere la precedenza su un essere umano realizzato. L’atteggiamento verso le scritture prevalente nei circoli religiosi essoterici, in particolare in quelli di qualsiasi religione definiti «fondamentalisti», abolisce la tradizione esoterica come idolatra, «bibliolatrica», per essere precisi. Ma questo non significa che le scritture siano considerate prive di valore; al contrario. Kirpal Singh spiega in dettaglio:

Il termine «Gyan» o «Jnana» deriva dalla radice sanscrita «gna», equivalente alla parola inglese «conoscere». Nel linguaggio comune, per Gyan o conoscenza si intende il pensiero a livello intellettuale, che comprende tutte le conoscenze registrate e derivate dai libri, antichi o moderni, spirituali o secolari... Una parte di essa, chiamata scritture, comprende la teoria sulla scienza della spiritualità. Tutte le scritture – i Veda e le Upanishad, la Bhagavad Gita, le Smriti, gli Shastra, i Purana e le Sei Scuole di Filosofia; i grandi poemi epici, il Ramayana e il Mahabharata; la Sacra Bibbia, il Sacro Corano, l’Adi Granth Sahib e tutti gli altri – fanno parte di questo ramo della conoscenza e rientrano nel campo dell’Apara Vidya, o conoscenza che arriva attraverso i sensi. Costituiscono una meravigliosa testimonianza delle esperienze spirituali di rishi, profeti e santi dell’antichità e ispirano in noi il desiderio di vivere esperienze simili. Contengono anche verità morali di grande valore, che aprono la strada a una vita etica e, se seguite scrupolosamente, gettano solide fondamenta per una sovrastruttura spirituale. Fin qui tutto bene. Ma al di là di questo non servono a nulla. (Naam or Word, p. 285)

Ma al di là di questo non servono a nulla. Questo è il punto. Quando a Hui Neng, il sesto patriarca del buddismo zen, furono chiesti insegnamenti esoterici, rispose: «Quello che posso dirvi, non è esoterico. Se rivolgete la vostra luce nell’intimo, troverete ciò che è esoterico nella vostra stessa mente». (The Sutra Spoken by the Sixth Patriarch, Buddhist Bible, p. 505). L’insegnamento esteriore impartito dai Maestri, comprese le scritture che magari hanno scritto, ha il solo scopo di indirizzarci nell’intimo, o di convincerci ad andare dentro di noi e vedere cosa vi troviamo; non ha altro valore. Ajaib Singh ha scritto:

Ma è un peccato che ogniqualvolta un Mahatma lascia questo mondo, comincino a fare dei rituali in suo nome: e qualsiasi libro abbia scritto, lo intendono come l’ordine di Dio o la voce di Dio e cominciano a venerarlo – anche se sappiamo tutti che i libri sono scritti a livello fisico e che i Mahatma scrivono libri solo dopo aver assunto il corpo. (Nel Palazzo dell’Amore, p. 13)

Ciò che rende un Maestro tale – la sua identità con la Parola – non può essere trasmesso attraverso un libro; e nemmeno l’unica istruzione esteriore veramente esoterica, la conoscenza specifica di come entrare in noi stessi per diventare ciò che siamo nati per essere. Il punto di vista del Maestro, le sue priorità possono essere trasmesse in questo modo, nella misura in cui il linguaggio e i nostri limiti lo consentono. Ma il contatto con la Parola dentro di noi non può mai avvenire attraverso un libro e dunque, dal punto di vista esoterico, venerare un libro come autorità infallibile è un tragico errore.
Per complicare ulteriormente la questione, soprattutto per quanto concerne il cristianesimo, possiamo classificare le scritture in tre tipi:

1) Scritture che indiscutibilmente sono registrazioni accurate di ciò che i profeti o i santi hanno detto. In questo caso l’unico problema è se vale la pena di avere fede o meno in ciò che viene detto o se il profeta o santo in questione l’abbia effettivamente detto. Il Corano, l’Adi Granth dei Sikh, il Libro di Mormon, Science and Health della signora Eddy, le epistole autentiche di Paolo e la maggior parte dei libri profetici della Bibbia rientrano in questa categoria.

2) Scritture che sono emerse in un lungo periodo di tempo come una sorta di consenso della comunità coinvolta. Questi libri hanno una sorta di autenticità, anche se diversa dalla prima categoria, perché in essi è incorporata una grande quantità di tradizione spirituale autentica, insieme a molto altro. I Veda degli indù e la Bibbia ebraica (quella che i cristiani chiamano «Antico Testamento»), che hanno preso forma nell’arco di circa mille anni, rientrano in questa categoria; e, con una certa elasticità, anche i Vangeli, che hanno preso forma in un periodo molto più breve, ma rappresentano una sorta di consenso e incorporano anche idee spirituali autentiche.

3) Scritture che sono state imposte alla comunità (o che hanno subito la cancellazione di componenti essenziali) per decisione esecutiva, anche se non c’è né un consenso da parte della comunità né la certezza che i libri rappresentino accuratamente ciò che il profeta o il santo ha detto. Questo è lo stato del Nuovo Testamento così come lo abbiamo ora, anche se non, come abbiamo già notato, di alcune sue parti. Se, ad esempio, il Nuovo Testamento contenesse il Vangelo di Tommaso e non contenesse le Lettere Pastorali, il suo impatto complessivo sarebbe molto diverso. (4)

È stato forse a causa di una consapevolezza subliminale di tutto questo che l’atteggiamento verso la Bibbia, in particolare il Nuovo Testamento, che ho riscontrato nei circoli evangelici ai tempi in cui ero un cristiano «rinato», mi ha sempre dato fastidio, e più imparavo a conoscerlo più diventava problematico. L’atteggiamento secondo cui un determinato libro è assolutamente infallibile, mette a dura prova la credulità per definizione, e più si impara a conoscere com’è stato prodotto, più diventa difficile crederci. È particolarmente vero quando ci rendiamo conto che la Chiesa tradizionale, specialmente quella protestante, ha sempre considerato nel suo complesso la fede nel Nuovo Testamento più importante della fede nelle parole di Gesù in sé – anche quando ciò richiede l’abbandono delle parole di Gesù; anche se il Nuovo Testamento nella forma attuale, come abbiamo visto, fu formulato dopo duecento anni (5) e alcuni dei primi Padri consideravano la parola scritta nettamente inferiore alla parola orale (6). Inoltre, il primo libro del Nuovo Testamento (la prima lettera di Paolo ai Tessalonicesi) non fu scritto prima di vent’anni dalla morte di Gesù, e il primo Vangelo canonico (quello di Marco) dopo altri venti o più anni. Certamente esistevano raccolte di detti di Gesù compilate prima: una di queste, chiamata dagli studiosi «Q» (dal tedesco quelle, «fonte»), è entrata a far parte dei Vangeli di Matteo e Luca; contiene la maggior parte del Discorso della montagna. Un altro, il Vangelo di Tommaso, sebbene contenga gran parte dello stesso materiale di «Q», non è stato inserito nel Nuovo Testamento, anche se, come dice Ron Cameron:

La maggior parte dei detti del Vangelo di Tommaso ha paralleli nei vangeli «sinottici» di Matteo, Marco e Luca del Nuovo Testamento. L’analisi di ciascuno di questi detti rivela che i detti del Vangelo di Tommaso sono conservati in forme più primitive dei detti paralleli del Nuovo Testamento o sono sviluppi di forme più primitive di tali detti. (The Other Gospels, p. 24)

In altre parole, Tommaso ha una pretesa di autenticità almeno pari, se non superiore, a quella dei «vangeli canonici» a cui siamo abituati. Perché allora non è presente nel Nuovo Testamento? Secondo il professor Koester:

... il Vangelo di Tommaso propone un’interpretazione dei detti di Gesù che non ha una componente escatologica futurista, ma proclama invece la presenza della sapienza divina come vero destino dell’esistenza umana. Il messaggio del Vangelo di Tommaso è fondamentalmente esoterico e si rivolge a un gruppo limitato di eletti.... Il cambiamento escatologico non significa altro che intuizione della divinità dell’io. (Helmut Koester, History and Literature of Early Christianity, p. 153)

Cioè, invece di comprendere il Gesù storico in termini di crocifissione, risurrezione e possibile «seconda venuta», che è ciò che il Nuovo Testamento intende per «cambiamento escatologico», Tommaso comprende Gesù alla luce delle sue stesse parole, pronunciate durante la sua vita, che il professor Koester identifica come «esoteriche».
La comprensione esoterica degli insegnamenti di Gesù divenne politicamente scorretta quando la particolare setta più tardi nota come «Grande Chiesa» trionfò dopo la conversione di Costantino, perciò il Vangelo di Tommaso, indipendentemente dalla sua composizione precoce o dalla sua pretesa di autenticità, fu escluso. Se fosse stato incluso nel Nuovo Testamento, la comprensione di Gesù dal punto di vista della tradizione esoterica sarebbe stata tutt’altro che controversa; sarebbe stata ortodossa.
Nulla di quanto detto sopra deve essere inteso come una negazione della reale componente esoterica dei vangeli canonici così come ci sono pervenuti. Per citare ancora Ouspensky:

Né le idee esoteriche, cioè quelle che provengono da una mente superiore, diranno molto a un uomo logico. Egli chiederà, per esempio: dove sono le prove che i Vangeli sono stati scritti da persone di mente superiore?
Dove sono le prove? Sono lì, dappertutto, in ogni riga e in ogni parola, ma solo per coloro che hanno occhi per vedere e orecchie per intendere... (Ouspensky, New Model, p. viii)

In effetti sono lì. Perché allora non è più evidente alla maggior parte delle persone? Per due motivi: primo, perché il Nuovo Testamento nel suo complesso, e ogni libro in particolare (in misura maggiore o minore), è stato accuratamente redatto da un punto di vista essoterico in modo che la componente esoterica, pur non essendo eliminata, sembri significare qualcos’altro; secondo, perché il modo di interpretare il Nuovo Testamento nonché la comprensione con cui la maggior parte di noi è stata cresciuta, sono stati determinati in misura ben maggiore di quanto gran parte di noi sia disposta a credere, dalla Chiesa tradizionale – cattolica, protestante, ortodossa – cioè da persone la cui comprensione si limita all’essoterico. Quelli che all’interno del cristianesimo hanno visto più in profondità (ad esempio Meister Eckhart nella tradizione cattolica, Jacob Boehme o William Blake in quella protestante) sono stati etichettati come «eretici» e costretti a uscire dalla corrente principale; mentre teologi essoterici come Giovanni Calvino si sono impegnati a fondo per dimostrare fino a che punto Dio può essere ridotto a un tiranno arbitrario e quanto ridicole possano apparire le scritture, come dimostrerà anche solo uno studio sommario della sua Istituzione della religione cristiana.
I miei professori alla Harvard Divinity School mi hanno insegnato che ognuno di noi «si fa il proprio canone», ossia ognuno di noi, pur professando senza dubbio di «credere nella Bibbia», di fatto ne sceglie alcune parti come di maggior valore rispetto ad altre. Sto sostenendo la necessità di scegliere le parti che riflettono la tradizione esoterica e di leggere il resto alla luce di esse. La Chiesa tradizionale ha sempre sostenuto l’esatto contrario. Questa è la differenza.

Il metodo Alì Babà

Prima di continuare, voglio considerare due esempi di come funziona quello che io chiamo il «metodo Alì Babà». Perché Alì Babà? Se ricordate la storia, una casa viene contrassegnata per una futura identificazione apponendo una croce sulla porta. Il proprietario della casa, osservando ciò, non rimuove la croce dalla porta; non può, è incisa. Così mette semplicemente una croce identica su tutte le altre porte. Funziona perfettamente; potete scegliere. Una vale l’altra, per quanto se ne possa dire.
Qualcosa di simile è accaduto con il Nuovo Testamento. Le affermazioni esoteriche non sono state, in linea di massima, eliminate; ma altre affermazioni, di significato opposto, sono state accostate ad esse, cosicché tendiamo a interpretare l’esoterico in base alle altre. Non esiste una vera ragione per cui non si possa fare il contrario; ma qui entra in gioco l’eredità di Calvino e dei suoi compagni: non lo facciamo, perché non è così che si fa.
L’esempio più evidente nel Nuovo Testamento è l’inclusione delle Lettere Pastorali (I-II Timoteo e Tito) nel canone e il loro rapporto con le epistole autentiche di Paolo. Il consenso degli studiosi contro l’autenticità delle Lettere è schiacciante; il professor Koester afferma che esse «non compaiono nel più antico manoscritto esistente delle epistole paoline» e aggiunge:

I dubbi sulla loro autenticità sono stati sollevati già all’inizio del XIX secolo; gli studi più recenti hanno accumulato un numero tale di argomenti conclusivi contro l’autenticità che la paternità paolina può essere mantenuta solo sulla base di ipotesi tortuose e dell’accumulo di improbabilità storiche. (History and Literature of Early Christianity, p. 298)

Un altro studioso afferma che:

Sono quasi certamente pseudonimi. Naturalmente, le prove non sono conclusive... ma le prove contrarie sono così lampanti che è improbabile che qualcuno continui a difendere la posizione tradizionale, a parte la riluttanza ad ammettere che una finzione deliberata sia stata accettata nel canone del Nuovo Testamento. (Wayne Meeks, The Writings of St. Paul, p. 132)

La rilevanza di ciò per la tradizione esoterica è che, tra l’altro, le Lettere Pastorali prendono accuratamente di mira cinque punti chiave che contraddistinguono il punto di vista esoterico e che, di fatto, erano sostenuti dai cristiani esoterici, chiamati Gnostici, nel secondo secolo quando furono scritte:

1) l’uso del mito come mezzo per trasmettere la verità (I Timoteo, 3-4);
2) l’uguaglianza e il valore spirituale delle donne (I Timoteo 2, 9-15);
3) il celibato e il vegetarianesimo (I Timoteo 4, 3-5);
4) astinenza dall’alcol (I Timoteo 5, 23);
5) la visione esoterica delle «scritture», qui ovviamente l’Antico Testamento (II Timoteo 3, 14-16).

Seguendo attentamente il metodo di Alì Babà, questi sono mescolati a molto altro di valore spirituale; ma invariabilmente sono i punti su cui si concentra il lettore che non ne conosce la vera genesi. La sezione sulle donne, ad esempio, è veramente feroce e meschina, una grossolana distorsione, se non una contraddizione, del punto di vista di Paolo nelle sue lettere autentiche (cfr., ad esempio, Galati 3, 28; anche Romani 16 con la sua lista di collaboratrici e compagne di apostolato, sebbene la piena importanza di questo capitolo sia andata perduta nella maggior parte delle traduzioni inglesi) e un vero e proprio tradimento del punto di vista di Gesù. La sezione sulle scritture è completamente opposta alle opinioni note di Paolo su questo argomento: se si legge II Timoteo 3, 14-16 insieme a II Corinzi 2, 4-18, si vedrà la differenza. Il versetto sul vegetarianismo viene citato più volte da lettori ingenui per dimostrare che «la Bibbia è contro il vegetarianismo», senza tener conto di Genesi 1, 29-30, Isaia 11, 6-9 e 66, 3, o della pratica del vegetarianismo da parte di Giacomo il Giusto, successore di Gesù a Gerusalemme, e nella Chiesa primitiva, attestata da Eusebio e dal Vangelo degli Ebioniti, e riflessa in Romani 14, 1-23. Lo scrittore delle Lettere Pastorali ha fatto bene il suo lavoro, e coloro che si sentono obbligati a credere come articolo di fede che l’intero canone del Nuovo Testamento sia autentico, senza tener conto della plausibilità storica o di come alcune parti ne compromettano altre, rimarranno incapaci di rivendicare ciò che è loro di diritto. Di questo scrittore si può dire ciò che Gesù affermò di altre autorità spirituali: «Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito». (Luca 11, 52)


«Gli altri vangeli»

Se le Lettere Pastorali sono un ottimo esempio di ciò che è stato aggiunto al Nuovo Testamento, allora cos’è stato sottratto? Abbiamo già esaminato brevemente il Vangelo di Tommaso, scoperto nel 1945 a Nag Hammadi in Egitto (sede del primo monastero cristiano, fondato da San Pacomio), e abbiamo considerato brevemente il motivo per cui potrebbe essere stato escluso dal canone, quando sono così alte le probabilità che sia una registrazione precoce di detti autentici di Gesù. Questo vangelo è un documento davvero sorprendente, e la più importante fonte extra-canonica per la comprensione esoterica di Gesù, ma non è possibile rendergli giustizia in breve; richiederebbe un libro a sé stante (7). Ci sono, a ogni modo, due altri vangeli, in verità frammenti di vangeli in entrambi i casi, che sono di interesse straordinario a questo riguardo: il Vangelo Segreto di Marco e il Vangelo degli Ebioniti. Esaminiamo brevemente ciascuno di essi.
Il Vangelo Segreto di Marco è stato scoperto dal professor Morton Smith della Columbia University nel 1958 nel monastero di Mar Saba, vicino a Gerusalemme. Tutto ciò che abbiamo, sono due brevi frammenti, incorporati (come citazioni) in una lettera di Clemente di Alessandria, che, tra tutti i Padri riconosciuti della Chiesa, era il più aperto alla tradizione esoterica. Ma questa scoperta, come dice il Prof. Ron Cameron:

Ci ha reso partecipi di nuove e impareggiabili informazioni sulle varie edizioni del Vangelo di Marco e ha portato alla nostra attenzione la diffusa tradizione esoterica tra i primi credenti di Gesù. (The Other Gospels, p. 68)

Ecco cosa dice Clemente sul Vangelo Segreto:

Quanto a Marco, poi, durante il soggiorno di Pietro a Roma scrisse un resoconto delle azioni del Signore, non dichiarandole tutte, né accennando a quelle segrete, ma selezionando quelle che riteneva più utili per accrescere la fede di coloro che venivano istruiti. Ma quando Pietro morì martire, Marco venne ad Alessandria portando con sé i propri appunti e quelli di Pietro, dai quali trasferì nel suo libro precedente le cose adatte a ciò che fa progredire la conoscenza (greco gnosis). Così compose un Vangelo più spirituale ad uso di coloro che si stavano perfezionando. Tuttavia, non divulgò le cose che non devono essere dette, né scrisse l’insegnamento ierofante del Signore, ma alle storie già scritte ne aggiunse altre e, inoltre, inserì alcuni detti di cui sapeva che l’interpretazione avrebbe condotto i lettori, come un mistagogo, nel più intimo santuario di quella verità nascosta da sette veli. Così, in sintesi, preparò le cose, a mio parere né a malincuore né incautamente, e, morendo, lasciò la sua composizione alla chiesa di Alessandria, dove ancora oggi è custodita con la massima cura, essendo letta solo da quelli che vengono iniziati ai grandi misteri. (The Other Gospels, pp. 69-70)

Clemente cita poi dal Vangelo Segreto un racconto, destinato a seguire Marco 10, 34 nel Nuovo Testamento, che sembra essere una prima versione del racconto della resurrezione di Lazzaro che si trova in Giovanni 11, ma che termina con l’iniziazione del giovane risorto:

Ed egli (il giovane risuscitato dai morti) rimase con lui quella notte, perché Gesù gli insegnava il mistero del regno di Dio. (The Other Gospels, p. 71)

Il professor Cameron sottolinea che «il Vangelo canonico di Marco» (o «pubblico») sembra essere una riduzione del Vangelo Segreto di Marco» (The Other Gospels, p. 68). Questo spiegherebbe molte anomalie della nostra attuale versione canonica di Marco, tra cui la notevole assenza di qualsiasi insegnamento di Gesù, il finale brusco (o la mancanza di finale) e riferimenti come Marco 4, 11-12 che non hanno alcun contesto, ma hanno senso in quanto (secondo le parole del professor Cameron) «vestigia ancora visibili della tradizione segreta» (p. 69). (8)


Un vangelo vegetariano?

Il Vangelo degli Ebioniti è il vangelo utilizzato dalla setta cristiana chiamata con questo nome, e l’importanza che assegniamo al vangelo è determinata da come definiamo la setta. Il cacciatore di eresie del IV secolo Epifanio, che ha conservato gli unici frammenti di questo vangelo che abbiamo, riteneva che gli Ebioniti fossero seguaci di un eretico di nome Ebione; ma si sbagliava. La sua ignoranza dell’aramaico, la lingua parlata da Gesù e dai suoi seguaci, e i vasti cambiamenti avvenuti nella Chiesa cristiana nei tre secoli successivi, lo hanno tradito. Hugh Schonfield spiega che, mentre il termine «nazareni» è spesso usato «per designare i primi cristiani»:

Non si chiamavano così. Oltre ai termini generali, presero in particolare il nome di Ebioniti (Ebionim, i poveri). I Padri della Chiesa (nessuno dei quali parlava l’aramaico) trovarono questo nome ancora utilizzato dalle generazioni successive di credenti ebrei, e furono spinti a cercare una spiegazione... (The Jew of Tarsus, p. 69)

Gli Ebioniti, in altre parole, erano i diretti discendenti dei discepoli ebrei originari di Cristo, quelli che rimasero in Israele e (dopo la caduta di Gerusalemme nel 70) nei territori adiacenti, mentre la chiesa gentile di lingua greca si diffondeva nell’Impero Romano; e il vangelo che utilizzavano, ha una serie di caratteristiche distintive legate al fatto che queste persone continuavano a vedersi nel quadro del giudaismo. Tra l’altro, cosa forse più interessante dal punto di vista della tradizione esoterica, presenta tanto Gesù quanto Giovanni Battista come vegetariani.
Ebbene, c’è una sorta di consenso tra la maggior parte (anche se non tutti) degli eminenti studiosi del Nuovo Testamento sul fatto che il Vangelo Segreto di Marco sia autentico; cioè, che la lettera di Clemente in cui si trovano le citazioni, sia effettivamente una lettera autentica di Clemente, in cui presenta la verità così come la intende. Non esiste un consenso simile per quanto riguarda gli Ebioniti o il loro Vangelo; la maggior parte degli studiosi sarebbe probabilmente d’accordo con Jean Danielou che:

Non vanno confusi puramente e semplicemente con gli eredi dei primi cristiani di lingua aramaica che si rifugiarono in Transgiordania dopo la caduta di Gerusalemme nel 70 d.C. e che erano perfettamente ortodossi. (The Theology of Jewish Christianity, p. 56).

Naturalmente, come abbiamo visto, Hugh Schonfield fa questa identificazione (o «confusione») e anche H. J. Schoeps, come Danielou sottolinea in una nota a piè di pagina; tuttavia, Danielou sembra parlare a nome di molti studiosi nel rifiutare l’autocomprensione degli Ebioniti. Perché non c’è dubbio che gli Ebioniti si vedessero così: come diretti discendenti spirituali di Gesù attraverso l’uomo che vedevano come suo successore, la misteriosa ed enigmatica figura nota come Giacomo il Giusto, «il fratello del Signore». Per comprendere sia l’autocomprensione degli Ebioniti sia il rifiuto di tale autocomprensione da parte di studiosi moderni con preconcetti propri, dobbiamo considerare tanto la figura di Giacomo il Giusto quanto la questione, sollevata da Danielou, dell’«ortodossia».
Giacomo è citato nel Nuovo Testamento in diverse occasioni (9), però mai (come ci aspetteremmo) nei Vangeli. Sia Paolo sia l’autore del libro chiamato Atti degli Apostoli danno per scontato il suo status di preminenza (la Chiesa successiva si riferiva a lui come al primo Vescovo di Gerusalemme), e la presenza della Lettera di Giacomo, a lui attribuita, nel canone del Nuovo Testamento indica anche il rispetto e la stima con cui i posteri lo consideravano. Inoltre, il titolo di «fratello del Signore», che si trova nel Nuovo Testamento (Galati 1, 19), attesta una sorta di legame intimo con Gesù; eppure, a quanto pare, egli non è affatto presente nei Vangeli, se non come membro della famiglia di Gesù, abitualmente raffigurata che non capisce e si oppone alla sua opera. Che cos’è questo?
Qualsiasi valutazione di Giacomo deve partire dal più antico resoconto più accurato di lui; si trova in Eusebio, Storia ecclesiastica, libro II, che scrive nel IV secolo, ma cita uno scrittore molto precedente, «Egesio, che appartiene alla generazione successiva agli Apostoli», e che «ne dà il resoconto più accurato parlando come segue nel suo quinto libro». (10)

La guida della Chiesa passò a Giacomo, fratello del Signore, insieme agli Apostoli. Fu chiamato «Giusto» da tutti, dai tempi del Signore fino ai nostri, poiché molti si chiamano Giacomo, ma era santo fin dal grembo della madre. Non consumava vino né bevande forti, né mangiava carne; non si passava il rasoio sulla testa; non si ungeva con olio e non frequentava i bagni (rituali). Solo a lui era permesso entrare nel santuario, perché non indossava lana ma lino, ed era solito entrare da solo nel tempio e farsi trovare inginocchiato a pregare per il perdono del popolo, tanto che le sue ginocchia diventavano dure come quelle di un cammello a causa del culto continuo di Dio, inginocchiandosi e chiedendo perdono per il popolo. Per questo motivo, per la sua eccessiva rettitudine, fu chiamato il Giusto... (Kirsopp Lake, Eusebio, Ecclesiastical History, Volume I, pp. 154-155)

A questo va aggiunto quanto segue, tratto dal Vangelo di Tommaso, di per sé, non un documento ebionita:

I discepoli dissero a Gesù, «Sappiamo che tu ci lascerai. Chi sarà la nostra guida?»
Gesù disse loro, «Dovunque siate dovete andare da Giacomo il Giusto, per amore del quale nacquero cielo e terra». (Tommaso 12)

I «seguaci» che pongono questa domanda sono le stesse persone che altrove vengono abitualmente chiamate «apostoli»: Pietro, Matteo, Tommaso, insieme a Maria Maddalena e Salomé, che in questo vangelo sono sullo stesso piano degli uomini. Eppure a loro viene detto – da Gesù! – di andare «dovunque siate» da Giacomo il Giusto! Alla luce di ciò, la piccola frase «insieme agli Apostoli» nella seconda riga della citazione di Egesio sopra riportata, ha tutte le caratteristiche di una glossa aggiunta per proteggere la visione «ortodossa» della preminenza degli «Apostoli» che conosciamo dai vangeli canonici.
Abbiamo quindi una figura imponente, considerata da Gesù stesso il suo successore e vista in questo modo anche dagli scrittori successivi (con alcune modifiche); una figura con una reputazione schiacciante di santità, che, come gli Ebioniti che ne onorano la memoria, si vedeva nel contesto del giudaismo (come, ovviamente, sempre Gesù) e che era un rigoroso vegetariano e si asteneva dall’alcol. Certamente il Vangelo degli Ebioniti, con la sua rappresentazione di Gesù e Giovanni Battista come vegetariani, se risale nella forma attuale a un periodo successivo a quello di Giacomo, riflette la sua comprensione del messaggio e delle pratiche di Gesù; e Giacomo è un testimone che può essere facilmente ignorato? Potrebbe aver introdotto, subito dopo la morte di Gesù, cambiamenti radicali nel vangelo che tutti i discepoli avrebbero riconosciuto come tali? Oppure è più probabile che i discepoli ebrei originari, compreso Giacomo, fossero vegetariani perché lo avevano appreso da Gesù?
Gli echi della tradizione originaria del vegetarianesimo rimangono nel Nuovo Testamento e nella letteratura patristica: Romani 14 riflette una disputa tra una fazione vegetariana (probabilmente ebrea esoterica) e una non vegetariana nella comunità cristiana romana, mediata da Paolo. Non si può dire che Paolo, nonostante l’apertura alla comprensione esoterica di Gesù (che si riflette nell’alta considerazione di lui e dei suoi scritti da parte degli Gnostici Valentiniani e dei seguaci di Marcione, tra gli altri, nel II secolo), abbia davvero assimilato questa parte del suo insegnamento; tuttavia si astiene dal condannare il vegetarianesimo e sembra essere ben consapevole che molti cristiani lo considerano importante. Questo non è più vero, come abbiamo visto, per il successivo pseudo-Paolo che, scrivendo in un clima ecclesiale molto diverso, non esita a fare, in I Timoteo 4, 3, ciò che il vero Paolo non aveva fatto.
Ci sono anche altri echi: negli Atti 15, l’unico punto del Nuovo Testamento (a parte la sua epistola) in cui Giacomo ha un ruolo di primo piano, si vede che insiste molto sul fatto che tutti i cristiani devono evitare di mangiare sangue e carne di animali soffocati nel sangue (Atti 15, 29); Louis Berman, in Vegetarianism and Jewish Tradition mostra come questa proibizione nella legge ebraica sia intimamente connessa con l’ideale vegetariano. (11)
È molto probabile, alla luce di quanto abbiamo appreso su Giacomo da altre fonti e da Romani 14, che questo episodio sia un riflesso essoterico di un originale vegetariano (12).
Altri echi includono la continua tradizione all’interno della Chiesa del valore del vegetarianesimo per coloro che sono seriamente impegnati in pratiche spirituali, essa stessa parte dell’accomodamento esoterico fatto dopo il trionfo della «Grande Chiesa» (cioè quella particolare setta cristiana che, in virtù della sua associazione con l’imperatore Costantino e del potere dello Stato Romano, fu in grado di bollare tutte le altre sette come eretiche durante il quarto secolo). Così scopriamo che Sant’Antonio e i suoi eredi spirituali, i Padri e le Madri del deserto, erano tutti rigorosamente vegetariani, e che questo impulso spirituale fu codificato nella Chiesa occidentale nella Regola di San Benedetto, pure vegetariana, una pratica seguita dagli ordini cattolici più severi (quelli, cioè, che pongono l’accento sulla meditazione e sulla «preghiera interiore») fino ai giorni nostri. (13)
Altre riflessioni interessanti si trovano in Giustino Martire, che sembra ipotizzare un servizio di comunione con pane e acqua – e non con vino – assunto che si ritrova anche tra gli Ebioniti (14); e nelle storie della Ricerca del Graal del Medioevo, storie in cui il punto di vista esoterico si mescola molto comodamente con le pratiche e le tradizioni dei Cistercensi, all’epoca uno degli ordini vegetariani. (15) C’è anche il testo delle Omelie Clementine, un altro testo ebraico-cristiano, che descrive Pietro come uno «che usa solo pane e olive, raramente verdure», e Matteo che mangia «semi, frutti e verdure, senza carne» (Danielou, Theology of Jewish Christianity, p. 372). Ma forse la testimonianza più interessante si trova nello stesso Eusebio che ci ha conservato il resoconto di Egesio su Giacomo il Giusto: all’inizio del Libro II della sua Ecclesiastical History cita un lungo passo di Filone di Alessandria, l’illustre filosofo ebreo che fu contemporaneo di Gesù, ma quasi certamente non lo incontrò mai (erano in luoghi diversi), sui Terapeuti, una setta ascetica ebraica. Ora, la maggior parte degli studiosi contemporanei ritiene che i Terapeuti siano un ramo degli Esseni e che l’epoca in cui Filone scrisse, fosse troppo precoce per i cristiani di Alessandria; ma Eusebio ipotizza che si tratti di primi cristiani, sulla base del loro ascetismo, che include (tra le altre cose) il vegetarianesimo! (Eusebio, Volume I, pp. 145-157; il riferimento ai vegetariani è a p. 155).
Ora, nulla di tutto ciò prova che Gesù abbia insegnato il vegetarianesimo o che il Vangelo degli Ebioniti sia autentico; ma la tenace sopravvivenza di una pratica che risale ben indietro nel tempo, fino alla nascita della Chiesa od oltre, va certamente presa in considerazione. Ritengo che Giacomo sia stato il successore di Gesù, da lui designato come tale, e che abbia trasmesso fedelmente ciò che gli era stato dato. Correnti successive nella Chiesa trovarono eretica la sopravvivenza di quelle pratiche; ma non furono gli Ebioniti a cambiare (16).


«Cristo è vissuto prima di Gesù»

Sant Kirpal Singh Ji raccontava spesso quanto segue, basandosi su una visita allo Unity Temple di Los Angeles, dove era stato invitato a parlare:

L’altro giorno sono andato in una chiesa dell’Unità. Ho chiesto al ministro: «Quali sono i vostri insegnamenti?» Mi ha dato un opuscolo, l’ho letto; c’era scritto: «Cristo è vissuto prima di Gesù». E chi è Cristo? Cristo è il Potere di Dio o il Potere del Guru che continua a venire di tanto in tanto, per guidare l’umanità bambina. È venuto anche prima di Gesù, prima di Buddha, o di Guru Nanak o di chiunque altro. Siamo tutti suoi figli. Come può trascurare i suoi figli? ... Così il Potere di Dio continua, la Missione continua. (Citato in A. S. Oberoi, Support for the Shaken Sangat, p. 123)

Prima di saltare alla conclusione che questo punto di vista, coerente con quello della tradizione spirituale universale nel suo complesso, non sia biblico, diamo un nuovo sguardo al Prologo del Vangelo di Giovanni:

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta.
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. (Giovanni 1, 1-5, 14)

Questo concetto della Parola è universale ed è centrale nella comprensione esoterica della vita. Si trova in tutte le religioni, quasi sempre con termini che suggeriscono qualcosa di espresso o udibile (Parola o Logos, Nome o Naam, Corrente Sonora o Shabd, Kalma, Udgit, Tao, eccetera) È anche invariabilmente legato alla creazione e alla redenzione: lo stesso Potere che ci ha creato, si assume la responsabilità per noi. E il modo in cui manifesta questa responsabilità, è quello di diventare come noi, di «farsi carne e vivere in mezzo a noi», in modo che possiamo connetterci con essa attraverso la linea di minor resistenza, come ci connettiamo con chiunque conosciamo e amiamo. Il Verbo viene metaforicamente definito «Figlio unigenito del Padre», perché per quante volte il Verbo si incarni (e come abbiamo visto, secondo la tradizione esoterica, il Verbo si incarna continuamente), è sempre e solo l’unico Verbo presente. È Cristo che ha vissuto prima di Gesù, e anche dopo: è il tramite attraverso il quale è sceso nel mondo, mettendosi a nostra disposizione per farci tornare a Casa. Questo è il significato di Giovanni 1, 51: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo» – l’allusione è alla scala di Giacobbe in Genesi 28, 12. Il Verbo fatto carne, l’essere umano che si è unito a Dio e attraverso il quale la Parola è raggiungibile, diventa la nostra scala mostrandoci come raggiungere e utilizzare la Parola dentro di noi.
In senso stretto, ovviamente, siamo tutti «Parola fatta carne», come chiarisce il vangelo: nessuno di noi vivrebbe se non fosse per la presenza del Verbo. Inoltre, se da un certo punto di vista il Maestro o Redentore è qualcuno che è disceso da Dio per il nostro bene, da un altro è qualcuno che un tempo era come noi, ma ha realizzato il suo pieno potenziale. Kirpal Singh era solito dire: «Ciò che un uomo ha fatto, un altro uomo può fare» e «ogni Santo ha un passato, ogni peccatore un futuro». Ero presente il 19 gennaio 1964, alla Friends Meeting House di Washington, quando si espresse in questo modo:

Seguite la bellezza dei detti, vi dico. Vivete in base ad essi, ognuno di voi. Dovete essere ambasciatori, vi assicuro. Chiunque abbia un corpo umano, ha il diritto di nascita di diventare Dio, ribadisco. Non c’è alcuna esagerazione al riguardo. Il peccato è che non lo seguiamo. (Sat Sandesh, marzo 1975, p. 11)

Se abbiamo la Parola di Dio che dimora in noi e se questa Parola è per definizione la nostra stessa vita e la nostra luce, allora quando Gesù ha detto: «Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Matteo 5, 48), ci stava solo ricordando il nostro diritto di nascita. Non è affatto paradossale, in realtà; è chiaro come la luce del giorno, se accettiamo che il Prologo di Giovanni significhi ciò che dice.
Ogni vangelo, possiamo notare, inizia la storia di Gesù nel punto in cui presume che inizi il «Cristo»: Marco al battesimo o all’iniziazione di Gesù, Matteo e Luca al suo concepimento e alla sua nascita e Giovanni alla creazione dell’universo.

Conclusione

Con questo libro non intendo convincere chi non vuole essere convinto della verità della comprensione di Gesù di Nazareth che viene presentata qui. I discorsi che seguono, sono stati tenuti originariamente con un unico scopo: mostrare ai cristiani che sono iniziati da un Maestro vivente, che stanno facendo esattamente quello che facevano i discepoli di Gesù quando camminava sulla terra. Qualora questi discorsi abbiano un’applicazione più ampia, ne sono felice; e ho scritto questa Introduzione per fornire un ponte tra la visione convenzionale di Gesù e quella esoterica qui presentata. Il modo in cui consideriamo questi argomenti, è necessariamente una questione di fede, e nelle questioni di fede non è possibile dimostrare o confutare nulla. Chi di noi ha avuto la vita trasformata dal contatto con un Maestro vivente, avrà una visione diversa da chi non l’ha avuto. Ma se riusciamo a ricordare le parole di Kirpal Singh già citate, secondo cui la giusta comprensione inizia con la consapevolezza che Dio è in ogni cuore e che quindi tutti sono degni di rispetto, allora possiamo leggere i discorsi che seguono e trarne un certo valore, indipendentemente dal fatto che siamo d’accordo o meno con le loro premesse di base.


Note
1. Si veda La filosofia perenne di Huxley, oppure, per una spiegazione più breve, ma molto bella, la sua Introduzione alla traduzione di Swami Prabhavananda e Christopher Isherwood della Bhagavad-Gita (The Song of God: Bhagavad-Gita). Per un’eccellente spiegazione dell’idea di esoterismo e delle sue manifestazioni storiche, si veda A New Model of the Universe di P. D. Ouspensky, pp. vii-x, 12-21, 24- 41 e, con particolare riferimento al cristianesimo, 131-185. E per un bellissimo studio dal punto di vista dell’idea esoterica centrale del Nome (sanscrito Naam), Parola o Logos, si veda Kirpal Singh, Naam or Word.
2. Per queste scuole e i loro insegnamenti, si vedano i relativi libri nella Bibliografia.
3. Cfr. Kabir, L’Oceano dell’Amore, o quasi tutti gli inni devozionali di qualsiasi discepolo della tradizione esoterica: il Divan di Shams-i-Tabriz di Rumi o Ajaib Singh, Canti dei Maestri, collocano Filippesi 2, 6-11 nel contesto da cui proviene. Si veda anche il commento di Ajaib Singh all’inno di Sehjo Bai, Dio e il Guru, Ruscelli nel Deserto, p. 58, e p. 63. Diana Eck, Encountering God: A Spiritual Journey from Bozeman to Benaras, pp. 93-97, è eccellente su Giovanni 14, 6 e sulla questione dell’«unicità» o «esclusività» di Cristo in generale.
4. Esiste una vasta letteratura scientifica su questo argomento, in gran parte sconosciuta alla maggior parte dei cristiani; citerò solo i più importanti. Walter Bauer, Orthodoxy and Heresy in Earliest Christianity, pubblicato in Germania nel 1934 e disponibile in inglese dal 1971, è un’opera assolutamente fondamentale del più grande studioso di greco della sua generazione; un libro rivoluzionario che non ha fatto che aumentare il suo valore con il passare del tempo. Faccio molto affidamento sulla sua tesi principale: che la cosiddetta «Grande Chiesa», l’antenata diretta dell’odierna corrente principale cristiana in tutti i suoi rami, era solo una delle tante sette che rivendicavano l’autenticità e la successione apostolica, fino a quando Costantino il Grande, imperatore di Roma nel IV secolo, non vi mise dietro il potere dello Stato dopo la sua conversione. Altre opere più recenti, in grado di attingere a scoperte di antichi manoscritti sconosciuti a Bauer, sono il magistrale volume in due parti, Introduction to the New Testament, di Helmut Koester, in particolare il volume II: The History and Literature of Early Chrisitianity; e i suoi Ancient Christian Gospels. Anche The Historical Jesus di John Dominic Crossan e gli scritti di Elaine Pagels e John Dart fanno molta luce su questo argomento.
5. Cfr. Koester, History and Literature, pp. 1-15. Il Canone Muratoriano, il più antico elenco di libri del Nuovo Testamento, è solitamente datato intorno al 200, e differisce dal nostro Nuovo Testamento per alcuni aspetti interessanti: include due libri (l’Apocalisse di Pietro e la Sapienza di Salomone) che non sono presenti nell’attuale Nuovo Testamento, e mancano Ebrei, II Pietro e II Giovanni.
6. In particolare Papias di Hierapolis: cfr. Eusebio, Ecclestical History, Vol. I, p. 293. Cfr. Koester, History and Literature, p. 3.
7. Esistono in realtà diversi libri già dedicati al Vangelo di Tommaso. Il migliore è quello di Marvin, la traduzione magistrale e il commento di Meyer, The Gospel of Thomas: The Hidden Sayings of Jesus, che include un’interpretazione di Harold Bloom che vale da sola il prezzo del libro. Tra gli altri, Hugh McGregor Ross, Essays on the Gospel of Thomas; Stevan L. Davies, The Gospel of Thomas and Christian Wisdom; e l’edizione Concord Grove Press, The Gospel According to Thomas with Complementary Texts, che include altri scritti gnostici antichi e articoli sulla tradizione gnostica, eccetera. Inoltre, il testo del vangelo si trova in diverse raccolte: The Other Gospels, a cura di Ron Cameron; The Nag Hammadi Library in English, a cura di James T. Robinson (si tratta della stessa traduzione di Thomas O. Lambdin utilizzata da Cameron, con un’eccellente introduzione di Helmut Koester); The Other Bible, a cura di Willis Barnstone, che utilizza sia la traduzione di Lambdin sia l’introduzione di Koester; e The Gnostic Scriptures, a cura di Bentley Layton, con la propria traduzione, introduzione e note. Inoltre, il vangelo è ampiamente discusso da Helmut Koester in Ancient Christian Gospels.
8. Il testo completo dei frammenti del Vangelo Segreto di Marco e della lettera di Clemente che li contiene, con un’introduzione del curatore, si trova in Ron Cameron, The Other Gospels, come indicato; le fonti principali sono gli scritti di Morton Smith: The Secret Gospel, un resoconto della sua scoperta, che include il testo della lettera di Clemente e i frammenti del vangelo in inglese; e Clement of Alexandria and a Secret Gospel of Mark, che ripercorre gli stessi eventi da una prospettiva più accademica e include il testo originale greco con un’analisi dettagliata. Il Vangelo Segreto di Marco è altresì discusso autorevolmente, con un attento esame di come si collega al Marco canonico, da Helmut Koester, Ancient Christian Gospels, pp. 293-303; e, con altrettanta attenzione, con un’acuta consapevolezza dei problemi che questo particolare testo ha sollevato, da John Dominic Crossan, Four Other Gospels: Shadows on the Contours of Canon, pp. 91-121. Entrambe le discussioni sono preziose. Per Clemente di Alessandria e il suo legame con la tradizione esoterica, si veda Henry Chadwick, Alexandrian Christianity, che include una proficua introduzione a Clemente e il testo completo dei libri III e VII dei suoi Stromateia o «Miscellanee», che contengono molto materiale rilevante.
9. Si vedano, ad esempio, I Corinzi 15, 7; Galati 1, 11-2:14; Atti 15, 1-29.
10. Cfr. Helmut Koester, History and Literature of early Christiniaty, p. 73: «Il fatto che Gesù sia stato battezzato da Giovanni – questa notizia non dovrebbe essere messa in dubbio – dimostra che Gesù era un discepolo di Giovanni». Per il battesimo come iniziazione, cfr. Danielou, The Theology of Jewish Christianity, pp. 316-23; Kirpal Singh, Naam or Word, p. 173; cfr. Kabir, L’ Oceano d’Amore, pp. 98-99.
11. Si vedano in particolare le pp. 21-27, ma il tema ricorre in tutto il libro.
12. Danielou sembra essere consapevole di questa possibilità; cfr. The Teology of Jewish Christianity, pp. 370-72.
13. Cfr. Owen Chadwick, Western Asceticism, p. 58, e, per la Regola di San Benedetto, p. 317: «Tranne i molto deboli, nessuno deve mangiare carne in nessun momento».
14. Cfr. Alfred Loisy, The Birth of the Christian Religion, pp. 237-38, e la nota 25 a p. 399.
15. Cfr. P. M. Matarasso, ed., The Quest of the Holy Grail, p. 146.
16. Il Vangelo degli Ebioniti si trova nella sua interezza, così com’è, sia in The Other Gospels, a cura di Ron Cameron, sia in The Apocryphal New Testament, a cura di M. R. James. La migliore trattazione di Giacomo il Giusto che conosca, è quella contenuta in Geoffrey Ashe, The Virgin, che lo colloca nel contesto della famiglia di Gesù in modo molto plausibile e convincente.

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