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 "Lo straniero della Galilea" - capitolo 6
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Inserito il - 29 Ottobre 2023 :  17:01:00  Visualizza profilo  Modifica messaggio  Rispondi citando  Visualizza l'indirizzo IP dell'utente
Capitolo 6
Beati gli operatori di pace
Russell Perkins

dal libro «Lo straniero della Galilea»

Matteo 5, 9 è la penultima beatitudine:

Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

«Operatore di pace» è una parola composta in greco. La parola pace (irene) è la stessa che in molte lingue è un nome proprio. Significa pace in tutti i suoi aspetti: l’assenza di guerra, l’assenza di paura, l’assenza di polemiche e l’assenza di lotte tra di noi. È la presenza di serenità interiore e di unificazione, e in questo senso si collega direttamente alla beatitudine che la precede: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio». Le due benedizioni sono intimamente connesse.
In greco la parola «operatore» deriva dalla stessa radice della parola «poeta», ma il termine greco non significa solo operatore di belle parole e versi, ma creatore di qualsiasi cosa. In inglese la parola «poet» si è specializzata, ma se la consideriamo nel contesto greco possiamo pensare ai figli di Dio come a poeti di pace, non nel senso di scrivere sulla pace, ma nel senso che il Maestro Kirpal intendeva nella storia che segue:

Un pandit, di nome Guru Dutt, era un discepolo di Swami Dayanand, il fondatore dell’Arya Samaj. Qualcuno gli disse che avrebbe dovuto scrivere la biografia del suo Guru. «D’accordo», disse, «lo farò». Passarono due, tre mesi e gli chiesero che cosa stesse facendo. Disse: «Oh sto scrivendo». Passarono sei mesi, un anno e volevano sapere a che punto fosse. Rispose: «Oh sto scrivendo molto duramente». Passarono altri due anni e gli chiesero ancora quanto avesse scritto. «Oh sto scrivendo molto duramente», disse. Che cosa significa scrivere la vita di un Maestro? Significa semplicemente avere le stesse qualità del Maestro nella nostra vita. (Discorsi del mattino, p. 160)

Come molte cose dette da Gesù, questa beatitudine ha la sua controparte nei libri di saggezza dell’ebraismo esoterico; in questo caso la troviamo anche nell’ebraismo tradizionale. Nel Talmud, nel trattato chiamato The Wisdom of the Fathers (Avot 1, 12) è scritto:

Hillel dice: «Siate discepoli di Aronne, amate la pace e perseguite la pace, amate gli uomini e attirateli alla Torah».

Ci sono diversi commenti a questa affermazione, tra cui il seguente:

Chiunque stabilisca la pace sulla terra è considerato dalla scrittura come se l’avesse fatta in cielo... L’uomo deve amare il prossimo e portargli il giusto rispetto. Se gli angeli ministri, nei quali non esiste impulso malvagio, si rispettano l’un l’altro, a maggior ragione gli uomini, nei quali c’è l’impulso malvagio. (Judah Goldin, The Living Talmud, pp. 65-66)

Sorge una domanda: chi è in grado di operare questa pace? E ne sorge un’altra: non siamo già figli di Dio? Diventiamo figli di Dio solo se riusciamo a portare la pace? I Maestri ci dicono che siamo tutti figli di Dio, indipendentemente da ciò che siamo o da ciò che facciamo; e che Dio ci ama e vuole riportarci a Lui, indipendentemente dai nostri meriti. D’altra parte, siamo riconosciuti come figli di Dio quando portiamo la pace agli altri, con cui siamo in contatto.
In altre parole, è una benedizione rivolta specificamente agli iniziati che hanno accesso all’Oceano di Pace (il Potere Positivo) che si muove tra noi nel mondo fisico attraverso l’opera del Maestro vivente. Gli Amati di Dio sono diventati una cosa sola con Lui e portano la pace al resto di noi. Quando diventiamo più simili a loro, portiamo pace anche agli altri. Qualsiasi cosa il Maestro ci dia, dobbiamo darla agli altri, e siamo in grado di farlo solo nella misura in cui abbiamo accesso ad essa dentro di noi.
Di seguito un breve commento di Swami Prabhavananda su questa beatitudine:

C’è un passo del Bhagavata, una popolare scrittura devozionale degli indù, che recita: «Colui nel cui cuore si è manifestato Dio, porta pace, allegria e gioia ovunque vada». È l’operatore di pace di cui parla Cristo nelle beatitudini. Mi viene in mente una vita che ho visto: quella del mio maestro, Swami Brahmananda. Chiunque si trovasse alla sua presenza, provava gioia spirituale. Ovunque andasse, portava con sé un’atmosfera di festa.
In uno dei monasteri c’erano alcuni giovani postulanti, non ancora formati, appena usciti dalla scuola. Quando erano stati insieme per poco tempo, le loro vecchie tendenze cominciarono ad affermarsi e i ragazzi formarono dei gruppi e litigarono. Uno swami anziano dell’ordine andò a indagare. Interrogò tutti e presto scoprì i capibanda. Poi scrisse a Swami Brahmananda, il capo dell’ordine, che quei ragazzi non erano adatti alla vita monastica e dovevano essere espulsi. Il Maestro rispose: «Non fare nulla. Verrò di persona». Quando arrivò al monastero, non fece domande a nessuno. Iniziò a vivere lì. Insistette solo su una cosa: che tutti i ragazzi meditassero regolarmente ogni giorno in sua presenza. I ragazzi dimenticarono presto i litigi e l’intera atmosfera del luogo si risollevò. Prima che Swami Brahmananda se ne andasse, due o tre mesi dopo, nel monastero si era instaurata una perfetta armonia. Non furono costretti a espellere nessuno. Le menti e i cuori dei postulanti si erano trasformati.
Quando arrivai per la prima volta nel monastero di Belur, due ragazzi litigarono e vennero alle mani. Swami Premananda, l’abate, se ne accorse e chiese a Brahmananda, fratello discepolo, di mandare via i ragazzi. Il Maestro gli disse: «Fratello, non sono venuti qui come anime perfette. Sono venuti da te per raggiungere la perfezione. Fa’ qualcosa per loro!» Swami Premananda disse: «Hai ragione!» Chiamò a raccolta tutti noi monaci e ci portò da Swami Brahmananda. A mani giunte chiese al Maestro di benedirci. Swami Brahmananda alzò la mano sopra le nostre teste e uno dopo l’altro ci prostrammo davanti a lui. Parlando per esperienza personale, posso solo dire che quella benedizione fu come una sorgente rinfrescante per un corpo febbricitante. Infuse un’esaltazione interiore che si poteva sentire, ma non descrivere. Dimenticammo tutti i nostri problemi e i nostri cuori erano pieni d’amore. È il modo in cui un vero operatore di pace ci influenza. Quando i nostri cuori sono sollevati dalla sua presenza, non abbiamo più voglia di litigare, perché siamo impegnati nell’amore di Dio. (The Sermon of the Mount According to Vedanta, pp. 29-31)

Cose simili sono accadute in relazione al Maestro Kirpal e a Sant Ji. Un episodio che ho osservato personalmente, si verificò in India durante la Terza Conferenza Mondiali delle Religioni nel febbraio 1965. Alcuni delegati alla conferenza – uomini religiosi, ecclesiasti, eccetera – erano venuti a casa del Maestro al Sawan Ashram per prendere il tè e lui li stava intrattenendo. Uno di loro era uno yoghi con la testa rasata, che indossava abiti color zafferano. Il suo nome era Surya Dev, che significa «Dio Sole», e i suoi occhi erano molto strani. Era ovviamente una persona con un certo potere, ma avevo un po’ paura di lui; l’avevo visto spesso in giro e non volevo avvicinarmi troppo a lui.
In questa particolare occasione esplose. Non so cosa sia successo; stavano tutti parlando in hindi e Surya Dev cominciò a urlare. Mi ricordai di ciò che il Maestro Kirpal aveva detto a proposito delle persone molto arrabbiate che «hanno la schiuma in bocca», e sembrava che fosse proprio il suo caso. Le parole gli uscivano come un torrente che scende da una montagna e sembrava che stesse per crollare. Il Maestro si avvicinò a lui, gli passò le mani sul viso e sul corpo e gli disse le parole più consolanti che si possano immaginare, naturalmente in hindi, e fu come se si chiudesse un rubinetto. Si calmò subito. Qualsiasi cosa lo avesse spinto a comportarsi in quel modo, era semplicemente sparita.
In seguito chiesi al Maestro perché uno yoghi che aveva dedicato così tanto tempo alle pratiche spirituali e che presumibilmente aveva realizzato qualcosa, si comportasse così. La risposta del Maestro fu: «Beh, l’ego, il senso dell’io, è l’ultima cosa che se ne va. E finché non se ne va, questo genere di cose è possibile». Fu una lezione importantissima per me e dovrebbe esserlo per chiunque stia valutando quanto sia avanzato spiritualmente. Non importa quanto ci viene dato, se non viene meno il senso dell’ego, possiamo fallire malamente, e spesso lo facciamo. Fu un avvertimento per me, purtroppo un avvertimento che ho dimenticato spesso e che ancora dimentico.
Un altro incidente si verificò durante una sessione della Conferenza a cui Judith e io non partecipammo, ma ci fu raccontato. C’erano molti sul palco che erano stati invitati perché erano delegati importanti, noti rappresentanti di questa o quella setta; e alla fine della sessione pomeridiana, mentre il presidente stava chiudendo la riunione, un uomo che era seduto in fondo al palco, divenne molto eccitato, saltò su, prese il microfono e disse che avrebbe parlato. Disse che gli era stato impedito di parlare per tutto il pomeriggio, nessuno gli aveva concesso il tempo di parlare, ma ora lo avrebbero ascoltato. Davanti a un pubblico numeroso, gli altri delegati sulla tribuna si arrabbiarono con lui dicendogli di stare zitto e di sedersi. Egli si rifiutò e regnò la confusione.
La principessa Narendra fu una di quelle che ci riferì l’evento, e disse che erano tutti costernati dal fatto che i santi fossero pronti a litigare tra loro su chi dovesse parlare e chi no. Il Maestro Kirpal Singh, che era il presidente della Conferenza, ma che spesso non prendeva parte attiva a una sessione, preferendo stare seduto ad ascoltare, si fece avanti e prese il comando. Pose il braccio attorno all’uomo, lo mise davanti al microfono e disse agli altri: «Ha ragione. Lasciatelo parlare». Tutti si calmarono e l’uomo parlò.
Ovviamente il Maestro è in grado di fare questo genere di cose in virtù della pace che egli stesso è, ma ci viene in mente il consiglio che il Maestro Kirpal diede ai genitori della ragazza sorpresa a rubare. Il Maestro aveva un’acuta comprensione di ciò che causa la mancanza di pace, il desiderio selvaggio che porta a tali eventi. Come i genitori di quella bambina, come i delegati alla conferenza, il nostro primo istinto umano è quello di negare questi desideri; ma se siamo persone di pace, se riusciamo a guardare un po’ più a fondo la situazione, sapremo che dovremmo conciliare in questi contesti.
È chiaro che ci vuole qualcuno in grado di agire non secondo le regole, ma secondo le sottili esigenze di una situazione per sapere cosa fare per rappacificare le cose. Per questo motivo è necessario che tutti noi ci sviluppiamo il più possibile spiritualmente, in modo da poter promuovere la vera pace e l’armonia senza limitarci a recitare una parte. In fondo, siamo tutti figli, in un modo o nell’altro; e abbiamo i nostri desideri e le nostre paure che, tra loro, mettono fine alla pace. Il Maestro viene a calmare le nostre paure e a esaudire i nostri desideri, anche se spesso non sembra, perché possiamo avere così tante smanie che ci vorrebbero quattro o cinque vite per esaudirle tutte.
Comunque, il Maestro le esaudisce in modo che possiamo superarle. Un verso di un bhajan preferito dice: «Tutto ciò che chiedo, è che esaudisca tutti i miei desideri», e lo cantiamo con tutto il cuore perché è ciò che tutti vogliamo. Il Maestro li esaudisce in misura sorprendente, però mai in casi di brama così autodistruttiva da andare contro i nostri stessi interessi.
Un altro aspetto della capacità di essere pacifici e senza paura si trova nel Vangelo di Giovanni (14, 8-31), dove Gesù insegna ai discepoli che devono prima avere fede nel loro Maestro. La traduzione inglese della parola greca pisteuein in «credere» rende un cattivo servizio al greco; non significa avere un assenso intellettuale o una convinzione. Gesù sta dicendo ai suoi figli di avere fiducia in lui. Il Maestro Kirpal conosceva a memoria questo passo (come appare nella King James Version) e lo citava spesso, come nella seguente sezione del suo discorso, Come incontrai il mio Maestro, tenuto a Washington, nel gennaio 1964, alla fine del secondo giro mondiale:

Tutti i Maestri, ogni volta che sono venuti, hanno detto la stessa cosa. Il decimo Guru dei sikh disse: «Ascoltate tutti, vi dico la verità. Indipendentemente dal fatto che apparteniate a una religione o all’altra, non fa differenza: solo attraverso l’amore potete conoscere Dio». Anche tutti gli altri hanno detto la stessa cosa: «Chi non conosce l’amore, non può conoscere Dio». Cristo ha detto: «Se mi amate, osservate i miei comandamenti». Che cosa ha detto? «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore, perché rimanga con voi per sempre; lo Spirito di Verità, che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce; ma voi lo conoscete, perché egli abita con voi e sarà in voi. Non vi lascerò senza conforto: verrò di nuovo da voi».
Se due uomini, quattro uomini, amano lo stesso uomo, è un punto da considerare. Il vero amore è quello in cui non c’è competizione. Quando ci sono due amanti dello stesso Maestro, entrano in competizione. Uno dice: «Dovrei essere davanti», e l’altro dice: «Dovrei essere davanti». Ma l’amore non conosce dualità, non conosce competizione, non conosce rabbia e non conosce il farsi avanti.
Giudicate solo l’amore per il Maestro. Perché tra i seguaci permangono questi conflitti? Perché non amano davvero, vi assicuro. Se amano davvero, l’amore non conosce competizione. Ognuno sarà felice quanto più potrà riporre gli sforzi congiuntamente per la stessa Causa. Cristo ha detto anche: «Ma il Consolatore, che è lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi farà ricordare tutto ciò che vi ho detto. La pace che vi lascio, rimarrà con voi per sempre».
Quindi, come vi ho detto, l’amore non conosce competizione. Quando due seguaci dello stesso Maestro non sono d’accordo, uno dice: «Io sono all’avanguardia», e l’altro dice: «Io sono all’avanguardia». Qual è il risultato? A me sembra che un simile seguace non ami il Maestro, non ami veramente. Ama il Maestro per motivi egoistici: vuole avvicinarsi a lui, essere in prima linea. Quindi, l’amore è il rimedio per tutte le cose: «Amate e tutto vi sarà aggiunto». È un peccato: non amiamo.
E poi Cristo disse: «Come il Padre ha amato me, anch’io ho amato voi; continuate nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore». Amava il Maestro, Dio. Disse: «Vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri». Ecco, vi dico che siamo carenti. Ho insistito molto su questo punto, da quando sono arrivato. È l’unico rimedio per tutti i nostri mali. Se un uomo va avanti, è per sua grazia. (Sat Sandesh, luglio 1975, pp. 15- 16)

Un breve estratto della circolare del Maestro Kirpal, Beati i poveri in spirito, è molto pertinente:

Ancora, «l’amore perfetto rigetta la paura». Ovunque vi sia la minima paura latente, sappiate per certo che l’amore non si è ancora perfezionato in quel cuore.
È abbastanza naturale che dall’amore derivino le idee di servizio e sacrificio. L’amore crede nel dare: dare via il meglio che avete senza accettare nulla in cambio, poiché sarebbe un baratto e non amore. L’amore insegna «servizio prima di sé». «Mediante l’amore siate a servizio gli uni degli altri» è ciò che l’apostolo Paolo insegnò ai Galati, e attraverso di loro a tutta l’umanità. Se esaminiamo in modo accurato, ci rendiamo subito conto che qualsiasi servizio apparentemente svolto per gli altri, non è per qualcun altro, ma per lo stesso Sé che pervade ogni dove e tutto, incluso il nostro sé apparentemente individualizzato rivestito di carne e ossa. Stando così le cose, non v’è spazio per rivendicare alcun credito. Il servizio amorevole deve dunque fluire liberamente, pienamente e in modo naturale, come d’abitudine, rianimando tutti i cuori poiché tramuterà l’altrimenti triste e desolata terra in un autentico giardino dell’Eden, per il quale preghiamo così sinceramente ogni giorno, ma che vediamo allontanarsi da noi quanto più lo desideriamo.

Sant Ajaib Singh Ji ha detto qualcosa nel discorso, Paura e libertà, che è uno dei detti più utili negli scritti di qualsiasi Maestro. Si collega direttamente a ciò che il Maestro Kirpal ha detto sopra:

Ora dice (Guru Nanak) che la paura è scritta nel destino di tutte le jiva quando nascono. Se c’è qualcuno che non ha paura, che non è coinvolto nella paura e non ne è affetto, è il Signore Onnipotente Senza Tempo. Guru Nanak dice che chi ama Dio, non spaventa nessuno e non ha paura di nessuno.
All’inizio, nell’ashram del 77RB, uno degli amati occidentali mi chiese: «Qual è il peccato più grande?» Risposi: «Il peccato più grande è avere paura di qualcosa». (Nel Palazzo dell’Amore, p. 35)

Essendo suoi figli, sono partecipi della sua natura ed egli è il Dio dell’amore, della misericordia e del perdono; Dayal in contrapposizione a Kal. Quando Sant Ji si riferisce a Lui come al Signore Onnipotente Senza Tempo, fa una netta distinzione tra Akal che significa «senza tempo» e Kal che significa «tempo». Coloro che diventano gli amati del Dio Senza Tempo dell’amore e della misericordia, non spaventano gli altri né hanno paura; la paura non trova spazio nel loro comportamento.
Nel maggio 1984 Sant Ji ha parlato di questo dal punto di vista dei discepoli:

Il principio della Sant Mat è questo: non avere paura di nessuno e non far paura agli altri. Non bisogna lasciarsi intimidire da nessuno e non bisogna intimidire gli altri. (The UPI Interview, Sant Bani, giugno 1984, p. 12)

Le persone che sono veramente impavide, non influenzano gli altri attraverso la paura, e questo è davvero il modo di portare la pace; è la pace che dobbiamo creare. Si tratta di punti importanti, forse troppo facilmente dimenticati perché non rientrano nei preconcetti della gente su ciò che è la vita spirituale/religiosa. Ma è così che si crea la pace e sono questi i modi in cui possiamo accedervi. La pace esiste; il Maestro ce l’ha e ce la offre attraverso canali che permettono alla pace che lui ha, di farla fluire in noi. Questi canali sono: stare in sua compagnia («avere il suo darshan»), mantenere la sua rimembranza, mettere in pratica ciò che ci insegna e cantare i suoi bhajan, che ci permettono di partecipare al suo punto di vista. «Dopo essere venuto, ha rinfrescato i cuori accalorati» – non è forse di questo che stiamo parlando? La pace arriva quando i cuori accalorati si raffreddano. In molti modi offre un canale attraverso il quale la pace può fluire in noi; tutto ciò che dobbiamo fare, è mantenere il canale aperto.
Nel Discorso del mattino numero 3, il Maestro Kirpal parla dei meccanismi per creare la pace su base quotidiana; e fa un forte collegamento con la beatitudine che precede di poco questa: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio». Dopo tutto, quelli che possono vedere Dio, riescono a portare la pace. Tutte le benedizioni sono collegate tra loro unicamente in questo modo: ognuna dipende da quella che la precede e rende possibile quella che la segue. Formano una scala che procede sempre più verso il cuore di Dio. In questo discorso, Non pensate male degli altri, il Maestro tocca un punto che Gesù sottolinea più volte nel Discorso della Montagna – il potere del pensiero – e parla di diversi aspetti dell’operare la pace.

Non ferite mai nessuno. Feriamo gli altri pensando male di loro. Se pensiamo male degli altri, tramiamo. È sbagliato perché i pensieri sono molto potenti. Quando pensate male degli altri, ciò reagisce come un filo del telegrafo. Magari non dite niente a nessuno, ma se pensate a loro, le radiazioni sono lì.
Una volta il ministro Birbal (figura molto nota nella storia indiana) di Akbar, grande imperatore dell’India, gli disse che i pensieri sono molto potenti e che bisogna prestare molta attenzione a ciò che uno pensa degli altri. Akbar chiese al ministro come facesse a saperlo. Il ministro rispose: «Va bene, ti darò un esempio concreto. Andiamo fuori».
Entrambi uscirono e videro un uomo che veniva verso di loro a pochi chilometri di distanza. Il ministro disse al re: «Senti, pensa a quest’uomo nella tua mente e quando si avvicinerà, potrai chiedergli cosa gli è passato per la testa in quel momento. Devi solo guardare e pensare». Il re pensò che quell’uomo dovesse essere fucilato. L’uomo si avvicinò al re e il re gli domandò: «Quando hai visto il mio volto, quali pensieri ti sono passati per la mente?» L’uomo rispose: «Imperatore, scusami, ma ho pensato che avrei dovuto colpirti con il pugno e romperti la testa».
Quindi i pensieri sono molto potenti. Se pensate male degli altri, gli altri reagiranno. Dovete stare attenti a come vi rivolgete alle persone. Se parlate male di un altro e gli dite: «Sei uno sciocco!» e cose del genere, o se qualcuno vi insulta e reagite allo stesso modo, qual è il risultato? Si scatena una rissa. Un uomo vi insulta una, due volte, e questo porta a un litigio. Avviene attraverso le parole; la radice è il pensiero. Un uomo parla dall’abbondanza del cuore. Qualunque cosa ci sia (nel cuore), si trasforma in parole, e le parole portano al litigio. Quindi non ferite i sentimenti altrui in pensieri, parole o azioni. Anche in luoghi molto religiosi, se una dozzina di uomini lavorano insieme e iniziano a pensare male l’uno dell’altro, il risultato è che i pensieri si irradiano e reagiscono nella mente dell’altro. Avete capito il mio punto di vista?
Il cuore è il Trono di Dio. Il corpo è il Tempio di Dio. Se contaminate il Trono dove si trova Dio, chi siederà lì? Sono dunque benedetti i puri di cuore, perché vedranno Dio. La purezza consiste principalmente nel non pensare male degli altri, in pensieri, parole e azioni. Ci sono anche altri fattori, ma questo è il principale. Ovunque vi sediate, anche in un ashram, se un uomo pensa a qualcun altro, la cosa si diffonde alla grande. È come una peste, un’infezione. Un topo infestato dalla peste va in giro e diffonde l’infezione ovunque. Perciò questa è una condizione molto severa: «Non siate gli apprendisti gratuiti del C.I.D. di Dio. Non prendete la legge nelle vostre mani». Se pensate bene degli altri, irradierete bene. Se purificate la mente, purificherete la mente degli altri. Pensando male degli altri, roviniamo prima i nostri templi di Dio e poi li contaminiamo. Esteriormente siamo a posto, abbastanza puliti, ma il cuore è impuro. Ci contaminiamo pensando male degli altri. Facciamo tutti parte dello stesso macchinario. Se anche una sola parte non è in ordine, il macchinario smette di funzionare. Ecco perché si dice: «Cercasi riformatori, non degli altri, ma di sé stessi». La carità inizia a casa. Dovremmo prima riformare noi stessi. L’esempio è meglio del precetto.
Il tema di oggi è: «Non pensate male degli altri, in pensieri, parole e azioni». Se pensate a qualcuno, pensate sempre bene di lui. Perché? Perché sono vostri fratelli e sorelle in Dio. Dio è attivo in ogni cuore. I nostri corpi sono i templi di Dio. Se pensiamo male, prima contaminiamo i nostri templi, poi contaminiamo gli altri. Dovremmo invece pensare: «Sia pace in tutto il mondo, sotto la Tua volontà, o Dio». Ecco ciò che Guru Nanak ha espresso nella sua preghiera. Che tutto il mondo sia felice! Come può essere felice se contaminate tutti! Quindi la cosa principale è non pensare male, non parlare male e non sentire male degli altri. Se venite a conoscenza di qualcosa, tenetela per voi e cercate di dirla agli altri privatamente; preoccupatevi del loro benessere. Non dobbiamo diventare riformatori degli altri. Dovremmo riformare prima noi stessi. Se abbiamo compassione per gli altri, dovremmo dire loro in privato ciò che riteniamo, stiano facendo di sbagliato. A quel punto l’altra persona si preoccuperà di ascoltare. Se c’è un cieco e gli si dice: «Cieco», lo prenderà sul serio. Se ci limitiamo a dire: «Ebbene, caro amico, quando hai perso la vista?», lo scopo è raggiunto.

Lo «scopo», a quanto pare, è quello di parlare delicatamente al cieco di qualcosa di cui preferirebbe non parlare. Il Maestro citava spesso questo esempio e quando chiedeva: «Ebbene, caro amico, quando hai perso la vista?», lo diceva con tale amore e compassione che ci rendevamo conto che un uomo potesse anche essere disposto a parlare della sua cecità, qualora si rivolgesse a lui in questo modo. In un contesto psicologico tutti noi abbiamo punti ciechi, cose che facciamo senza sapere che sono sbagliate. Se qualcuno deve farci vedere chiaramente le nostre azioni o se noi dobbiamo far vedere a qualcun altro i suoi errori, più siamo compassionevoli e amorevoli e più la situazione sarà pacifica.

Ci sono modi e mezzi per esprimersi. Quindi parlare, si potrebbe dire, è un’arte. Le stesse parole che hanno un effetto amorevole e pacifico, possono anche provocare un incendio. È da questo che dobbiamo guardarci. Non dobbiamo pensare male degli altri né con la mente, né con le parole, né con le azioni.
Non è difficile incontrare Dio, ma è difficile essere un uomo. L’uomo è in formazione. Dio cerca un uomo che sia tale.

La parola che il Maestro sta usando, e che ha sempre usato in questo contesto, è insan, una parola urdu priva di genere e che, secondo gli standard oggi generalmente riconosciuti, dovrebbe essere tradotta come «essere umano». Lo abbiamo sottolineato nell’introduzione, il Maestro Kirpal ha usato la parola inglese «man» in modo molto elastico. Ma insaan non è solo privo di genere; significa, letteralmente, «colui che ribolle d’amore per Dio». Questo è ciò che gli esseri umani sono destinati a diventare, ciò che sono nati per essere. Qui sta dicendo che Dio è in cerca di questo tipo di essere umano.

Una volta un uomo andò dal Signore Buddha e prese a insultarlo senza ritegno. Continuò in quel modo per una, due, tre ore finché si fece buio. Quando cadde la notte, voleva andarsene. Il Signore Buddha disse: «Bene, caro amico, dimmi solo una cosa». L’uomo chiese al Buddha che cosa volesse sapere, al che Buddha rispose: «Se una persona porta un regalo a qualcuno e lui non lo accetta, a chi rimane?» L’uomo rispose: «Alla persona che l’ha portato». «Bene», disse Buddha, «il regalo che hai portato, non lo accetto».
Così queste sono le cose da sviluppare in noi e in base alle quali vivere. Se vivete in base ad esse, i vostri pensieri, la vostra radiazione cambieranno. Non si tratta, credo, di atteggiarsi o di fingere, è una questione da vivere. I Maestri dicevano: «Coloro che vivono in base a ciò che dico, sono il loro servo, sono i miei capi. Farò del mio meglio per servirli». In verità, il figlio che obbedisce al padre ed è disposto a fare tutte le cose che desidera, naturalmente è quello che gli è più caro. Non si fa per semplice beneplacito, atteggiamento, finzione esteriore, perché la mente irradia. Il Maestro conosce la mente, non le cose esteriori. (Discorsi del mattino, pp. 14-19)

Sia il Maestro Kirpal sia Sant Ji hanno raccontato la storia di Namdev, il grande santo del Rajasthan, che una volta si recò nel villaggio del Punjab dove, centinaia di anni dopo, nacque Baba Jaimal Singh. Namdev voleva entrare nel tempio indù e lodare Dio, ma era un uomo di bassa casta, uno shudra. Nella religione indù gli shudra non sono ammessi nei templi e non lo lasciavano entrare. Così Namdev andò pacificamente dietro il tempio, si sedette e cominciò a lodare Dio. Dio fu così compiaciuto della sua preghiera che girò il tempio in modo che la porta fosse rivolta verso Namdev.
Questa storia riassume tutto ciò che il Maestro ha appena detto: quando c’è pace e non accettiamo i «regali» dell’ira o dell’inimicizia, Dio può ribaltare le cose, se lo desidera. Il nome del villaggio divenne Ghuman, che letteralmente significa «girarsi»; la storia narra che fu chiamato così per quell’avvenimento che umiliò l’orgoglio degli abitanti.
I Maestri hanno detto chiaramente che la pace nel mondo è il risultato della pace individuale; chi ha la pace, può darla e chi ha accesso alla pace, può crearla tra gli altri. Non stiamo parlando di cose che fanno vincere il premio Nobel, ma Martin Luther King, Madre Teresa e altri sono stati in grado di influenzare gli altri perché hanno avuto accesso alla pace nell’intimo. Sant Ajaib Singh Ji, come tutti i Maestri, si preoccupa molto della pace nel mondo e fa del suo meglio per promuoverla; il che è naturale, considerando che i Maestri sono l’incarnazione del Dio dell’Amore in un mondo che è governato dal dio della giustizia.
Quando Gesù disse ai suoi discepoli:

«Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il principe del mondo; contro di me non può nulla, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre, e come il Padre mi ha comandato, così io agisco». (Giovanni 14, 30-31)

Intendeva dire che le persone che stavano venendo a prenderlo e ad appenderlo alla croce, erano gli agenti del principe del mondo, Kal o Dharam Rai (il Signore della Legge). Questo e molti altri riferimenti biblici a Kal sono ben lontani dal successivo concetto teologico di Satana. Come ha spiegato Gesù, Kal non ha potere diretto sui Maestri, ma è volontà del Padre che quando i Maestri sono qui nel mondo di Kal, ne obbediscano alle leggi. Quindi, se sono condannati, sono condannati; se è richiesto che siano ignorati o messi da parte o altro, ciò accade.
Nel seguente discorso prima della meditazione che Sant Ji tenne in Rajasthan il giorno di Capodanno del 1991, poco prima di quella che divenne la «Guerra del Golfo», il Maestro prega per la pace a nome del mondo. Lo fa come agente nel nostro tempo del Dio dell’amore, della misericordia e della pace. Lo fa con tutta la sua attenzione e con tutta la sua forza e, poiché è l’incarnazione della pace nel nostro tempo, queste parole hanno un grande peso:

Buongiorno! Auguro a tutti voi, alle vostre famiglie, al vostro paese e a tutti gli esseri umani del mondo un felice anno nuovo.
Auguro e prego Dio Onnipotente che le nubi di guerra che aleggiano sul mondo, siano rimosse con la Sua grazia e che tutto il mondo possa avere un anno nuovo molto felice.
Il mondo intero è la casa del Maestro. Il mondo intero è come il paese del Maestro, e voi sapete che se un figlio in casa è infelice o soffre, il padre ne è influenzato, è infelice anche lui, soffre anche lui. Parimenti, se c’è qualche problema in qualsiasi parte del mondo, anche il Maestro ne risente. Perciò prego Dio Onnipotente, ancora e ancora, affinché protegga tutti noi, dandoci la Sua mano benevola, affinché in quest’Età del Ferro protegga le anime. Mi inchino davanti a Lui ancora e ancora; mi prostro davanti a Lui ancora e ancora con la preghiera che ci protegga tutti.
Al momento, come sapete, tutti sono spaventati; come sapete, le superpotenze poggiano su pile di dinamite e non si sa mai cosa succederà. Se in questo momento Dio non ci elargisce la grazia, se non ci protegge, potete ben immaginare quanto gli esseri umani saranno colpiti e quante perdite potranno verificarsi. Quindi, ancora una volta, la nostra preghiera è rivolta a Dio Onnipotente affinché, dandoci il Suo sostegno, raffreddi gli animi, elargisca la grazia su tutti e porti la pace nel mondo. (Sant Bani, gennaio 1991, p. 16)

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