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Surat Shabd Yoga
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 "Meditazione spirituale"
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499 messaggi
Inserito il - 31 Marzo 2006 :  05:04:52  Visualizza profilo  Modifica messaggio  Rispondi citando  Visualizza l'indirizzo IP dell'utente
"Meditazione spirituale"

Russell Perkins

Mentre la disciplina insita nell’osservanza delle cinque virtù cardinali e nella pratica dell’introspezione è assolutamente necessaria sul sentiero spirituale e porta al conseguimento della pace interiore, il suo legame con la meta ultima di trovare, vedere e diventare uno con Dio, è un passo elementare. L’elemento più importante viene chiamato “meditazione”. Senza la disciplina spirituale non si può meditare, ma senza la meditazione non è possibile entrare nell’intimo. La meditazione rappresenta l’essenza di tutto quel che viene richiesto sul sentiero dei Maestri.
Che cos’è la “meditazione”? Sotto tutti i punti di vista è deplorevole che la parola inglese “meditazione” significhi “pensare cose su”, dato che quando uno “medita” in questo senso è esattamente l’opposto: è l’assenza di pensiero. “Contemplazione” è meglio, ma ne descrive solo un aspetto. Forse il termine migliore è “pratica spirituale”, una traduzione del sanscrito sadhna e dell’hindi sadhan. Vi sono tre tipi di pratiche: Simran, ripetizione o rimembranza, Dhyan, contemplazione o visione della Luce interiore e Bhajan, ascolto della musica interiore o Corrente Sonora. Ognuna delle tre ha un valore proprio e la pratica del Surat Shabd Yoga coinvolge tutte e tre. Ognuna si realizza a modo suo, ma la meta finale della pratica nell’insieme è l’unione con il Potere Positivo o Padre Supremo.
Kirpal Singh descrive il modo in cui le tre pratiche convergono nell’innalzamento al di sopra del piano fisico e nella scoperta del nostro Sé superiore:

“La sede dell’anima è in mezzo e dietro le sopracciglia... su questo punto deve concentrare la propria attenzione il sadhak (il discepolo), dopo aver chiuso gli occhi, ma l’impegno nella concentrazione deve avvenire senza sforzo e non devono sussistere problemi di tensione fisica o mentale. Per facilitare quest’operazione, il Maestro dà al discepolo un mantra, o formula verbale caricata, che è simbolica del viaggio verso l’alto. Questa formula, nel momento in cui viene ripetuta lentamente e amorevolmente con la lingua del pensiero, aiuta il discepolo a raccogliere per gradi i pensieri dispersi in un unico punto. La potenza del mantra non deriva da una ‘magia’ inerente di per sé alle parole, ma dal fatto che esso viene impartito da uno che, in virtù della sua pratica e della sua competenza spirituale, lo ha caricato di potere interiore. Quando l’aspirante, per mezzo della concentrazione e della ripetizione mentale delle parole caricate, ha focalizzato il proprio sguardo interiore con intensità e con fermezza, nota nell’intimo che l’oscurità di prima viene gradatamente illuminata da punti di luce mobili. Via via che la concentrazione aumenta, le luci interrompono il loro tremolio e convergono in un unico punto raggiante”.
“Questo processo di concentrazione, o raccoglimento del surat, attira in modo automatico le correnti-spirito solitamente disperse per tutto il corpo verso il centro spirituale. Il ritiro è oltremodo favorito dal simran o ripetizione del mantra caricato; la percezione della luce interiore, che porta al dhyan o concentrazione in un unico punto, accelera ulteriormente il processo. A sua volta il dhyan, quando è del tutto sviluppato, conduce al bhajan o ascolto interiore. La luce interiore comincia a diventare risonante”.

Dentro di te é la Luce e dentro la Luce il Suono,
Quest’ultimo ti congiungerà al Vero Uno.
GURBANI

“Chi pratica con regolarità, si assorbe rapidamente nella musica quando chiude le orecchie. È un’esperienza comune che benché la luce attragga l’occhio, non può farlo per molto tempo e non ha nei suoi confronti una qualità molto magnetica. Ma con la musica è diverso. Chi la ascolta in silenzio e tranquillità, è attratto irresistibilmente, per così dire, in un altro mondo, un regno di esperienza diverso. Pertanto il processo di ritiro, che ha avuto inizio con il Simran, è stimolato dal Dhyan e si sviluppa con celerità attraverso il Bhajan. Le correnti spirituali, già lentamente in movimento, si dirigono verso l’alto, raccogliendosi al terzo occhio, la sede dell’anima. Si consegue così col minimo sforzo e fatica l’innalzamento oltre la coscienza fisica, ossia la morte in vita. Quando gli studenti delle altre forme di yoga riescono a trascendere appieno il corpo fisico dopo una padronanza lunga e difficoltosa dei chakra inferiori, in genere presumono di essere giunti al termine del loro viaggio. Il piano interiore nel quale si ritrovano – il regno del Sahasrar o Sahasdal Kamal, spesso simbolizzato dalla ruota solare, dal loto o dalla rosa con tante foglie – in effetti è incomparabilmente più bello di qualsiasi cosa sulla terra, a confronto appare eterno. Ma quando lo studente del Surat Shabd Yoga riesce a trascendere la coscienza fisica, trova la Forma Radiante del suo Maestro che, inaspettatamente, lo attende per accoglierlo. Proprio in questo punto si stabilisce l’autentica relazione Guru-shishya o Maestro-discepolo. Fino a questo punto il Guru era stato poco più di un maestro a livello umano, ora viene visto come la guida divina o Gurudev, la quale rivela la via interiore:

I piedi del Maestro si sono manifestati nella mia fronte,
E tutte le mie peregrinazioni e tribolazioni sono terminate.
GURU ARJAN

Con l’apparizione della Forma Radiante del Maestro nell’intimo,
nessun segreto rimane più celato nel grembo del tempo.

“Anche Cristo parlò nello stesso tono:

Non vi è nulla di nascosto se non per essere svelato;
e nulla di segreto, se non per essere manifestato.
MATTEO

“Sotto la direzione di questa Guida celeste l’anima impara a superare la prima esplosione di gioia e comprende che la meta è ancora lontanissima. Accompagnata dalla Forma Radiante e trascinata dall’udibile Corrente di Vita, essa attraversa una regione dopo l’altra, di piano in piano, liberandosi di tutti i koshas (n.d.t. coperture) finché alla fine si trova completamente spogliata di tutto ciò che non le appartiene. Affrancata e purificata, può entrare finalmente nel regno dove vede che è della stessa essenza dell’Essere Supremo, che il Maestro nella Forma Radiante e l’anima non sono separati, ma sono uno e che non esiste nulla ad eccezione dell’immenso Oceano di Coscienza, Amore, Beatitudine ineffabili. Chi descriverà lo splendore di questo reame?”.

Solo il cuore può parlare al cuore della beatitudine dei mistici.
Nessun messaggero può illustrarla e nessuna missiva può riferirla.
HAFIZ

Quando la penna si mise a disegnare questo luogo, andò in pezzi
e la pagina si strappò.
MISTICO PERSIANO

“Avendo raggiunto il termine del viaggio, anche il cercatore s’immerge nella Parola ed entra nella compagnia dei Liberati. Può continuare a vivere come gli altri uomini in questo mondo di esseri umani, ma il suo spirito non conosce limitazioni ed è infinito quanto Dio stesso. La ruota della trasmigrazione non lo colpisce più e la sua coscienza non conosce restrizioni. Come il suo Maestro prima di lui, egli è diventato un Cooperatore cosciente del Piano divino. Non fa nulla per sé stesso, bensì agisce in nome di Dio. Se esiste davvero un Neh-karmi (uno libero dai legami dell’azione), é proprio lui, in quanto non esiste un mezzo di salvezza più potente della Parola”.

È libero dall’azione solo chi è in stretta comunione con la Parola.
GURBANI

“Per lui la libertà non sopraggiunge dopo la morte (videh-mukti), la consegue durante la vita stessa. Egli è un jivan-mukta (liberato vivente); come un fiore che diffonde la sua fragranza, divulga il messaggio di libertà ovunque vada”.

Per coloro che hanno goduto della comunione con la Parola,
le fatiche finiranno.
I loro volti splenderanno di gloria.
Non solamente avranno essi la salvezza, o Nanak,
ma molti altri troveranno con loro la libertà.
JAP JI

“Nella pratica effettiva della disciplina spirituale, si sottolineano il Simran, il Dhyan e il Bhajan, ciascuno dei quali svolge un ruolo specifico nella manifestazione del Sé. Il Maestro dà il Simran, o ripetizione mentale delle parole cariche, che aiuta il discepolo a raccogliere le facoltà mentali vaganti al punto fermo dell’anima, in mezzo e dietro le sopracciglia. Ivi si ritirano le correnti sensorie, che prima permeavano il corpo dalla testa ai piedi, e in tal modo egli perde la coscienza del corpo. Il compimento positivo di questo processo conduce di per sé stesso al dhyan, o concentrazione. Dhyan deriva dalla radice sanscrita dhi che significa ‘legare’ e ‘reggersi a’. Con l’occhio interiore aperto, ora l’aspirante vede nell’intimo lampi abbaglianti di luce celestiale, il che vincola viepiù la sua attenzione. A poco a poco la luce si stabilizza durante la sadhana, perché essa agisce nei confronti dell’anima come un’àncora di salvezza. Quando il Dhyan o concentrazione è portato a perfezione, conduce il sadhak al Bhajan, o armonizzazione con la musica che emerge dal centro della luce sacra. Questa affascinante, santa melodia ha una forza magnetica irresistibile e l’anima non può fare a meno di seguirla fino alla sorgente spirituale da dove emerge. Questo triplice processo aiuta l’anima a scivolare al di fuori delle catene del corpo, la àncora allo splendore divino del Sé (atman) e la conduce alla casa celestiale del Padre”.

dal libro "Impatto con un Santo"


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